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Formalmente c’è tempo fino al 6 dicembre, quando Luigi Di Maio rifarà il punto della situazione con i parlamentari calabresi ed emiliani sulle Regionali di fine gennaio 2020. Ma la convinzione, tra le truppe pentastellate, è che il capo politico abbia già deciso il da farsi: ritirare il simbolo e saltare un giro. «Se ha voluto prendere altro tempo è solo perché non ha alcuna intenzione di presentare la lista», dice un’esponente calabrese del partito, presente all’incontro col leader di lunedì scorso. «Altrimenti avrebbe detto subito sì, a poco più di due mesi dalle elezioni». In effetti, con la campagna elettorale già in corso, il 6 dicembre sarà troppo tardi mettere in piedi una lista in grado di competere il 26 gennaio.
Di Maio lo sa e gioca d’attesa, nella speranza che i malumori rientrino presto. Perché nel Movimento il malcontento si accumula, si espande, si sedimenta, ma in genere non esplode. O almeno in questo confida il numero uno del partito. La base parlamentare critica una linea politica impazzita, tanto da definire ironicamente «Di Maionese» il ministro degli Esteri, ma non è in grado di esprimere una leadership alternativa. Risultato: alle Regionali di gennaio il M5S non comparirà sulla scheda elettorale.
Un po’ per non infastidire il Pd, almeno in Emilia, un po’ per evitare cattive figure, dopo il trauma umbro. I grillini, infatti, sono dati in caduta libera da quasi tutti gli istituti demoscopici, abbondantemente al di sotto del 10 per cento sia in Calabria che in Emilia, dove, paradossalmente, farebbero perdere consensi al candidato del centrosinistra qualora decidessero di allearsi col Pd. Ma le due Regioni pari non sono per i militanti pentastellati. Per motivi ideali e materiali. Se l’estremo Sud, dove il partito non ha mai brillato alle competizioni locali, è tutto sommato sacrificabile, l’Emilia, da dove tutto ebbe inizio 12 anni fa, no. Ma in ballo non c’è solo il sentimento, ci sono soprattutto quattro consiglieri uscenti, a differenza della Calabria, che difficilmente accetteranno di tornare a casa con una pacca sulla spalla.
Gli emiliani vogliono presentarsi. Hanno pure presentato a Di Maio una bozza di programma e una rosa di possibili candidati: il capogruppo uscente Andrea Bertani, la consigliera bolognese Silvia Piccinini e l’ex assessora della Giunta Raggi, molto amica di Beppe Grillo, Pinuccia Montanari. Ma il capo politico non sembra intenzionato a diventare nuovamente bersaglio dei ribelli all’indomani di un appuntamento elettorale che si preannuncia fallimentare. E insiste coi suoi: meglio saltare un giro.
Se alla fine prevalesse questa indicazione, i consiglieri uscenti potrebbero decidere di abbandonare il M5S e presentare una lista civica autonomamente o cercare candidature last minute in altri partiti. Come ha appena annunciato Gianluca Sassi, consigliere uscente espulso dal Movimento un anno fa, che sarà capolista per i Verdi a sostegno del candidato dem Stefano Bonaccini. Voglio essere «il grillo parlante della futura giunta», ha detto Sassi.
E mentre i grillini si tormentano sulla tattica, le piazze emiliane vengono riempite da nuovi movimenti, animati per ora da un solo obiettivo: fare da argine all’avanzata leghista, lo stesso partito con cui Di Maio aveva sottoscritto un contratto di governo un anno fa. Sardine combattive che, a differenza del M5S, non hanno paura di schierarsi da una parte del campo e uscire allo scoperto.