PHOTO
Ma cosa vuole Matteo Renzi? Se lo sono chiesto tutti dopo l'intervento dell'ex premier in aula, preannunciato da messaggini agli organi di informazione che anticipavano senza mezzi termini “l'ultimo appello” di Renzi a Conte. Se non proprio un avviso di sfratto qualcosa di non molto diverso.Renzi però, arrivato al momento dell'ultimatum, è stato volutamente ambiguo. Ha chiesto a Conte di scegliere tra la prosecuzione del sostegno di Iv e “il populismo”. Aut-aut apparentemente inspiegabile dal momento che il premier, nella sua lunga informativa, aveva proprio rivendicato la sua distanza dal populismo, la scelta di adottare decisioni fortemente impopolari guardando “all'episteme e non alla doxa”. Cioè alla scienza e non agli indici di popolarità. Rivendicazione, va aggiunto, non peregrina. Impossibile infatti accusare Conte di aver solleticato gli umori della popolazione con la conferenza stampa di domenica sera, che lo ha trasbordato seduta stante al centro di un vero e proprio ciclone proprio per la delusione inflitta a chi si aspettava una riapertura in più grande stile il 4 maggio.L'attacco a Conte era arrivato, nel discorso del leader di Iv, poco prima ed era d'altro stampo: «Non abbiamo negato pieni poteri a Salvini per darli a un altro». Uno sganassone sonoro, affibbiato calcando consapevolmente la mano, ma che nel merito non si discosta da un coro nel quale spiccava la voce del Pd. Praticamente tutti, ieri in aula, hanno notificato al premier la fine della fase nella quale ha goduto di poteri eccezionali. Tutti lo hanno bersagliato per la decisione di non diversificare il lockdown regione per regione, allargando maggiormente le maglie dove il contagio è meno diffuso, senza accontentarsi dell'impegno a procedere in questo senso dal 18 maggio. Renzi dunque ha cercato, del resto non a torto, di intestarsi la primogenitura nella sollevazione contro i pieni poteri del premier, veicolati dall'uso diffuso di uno strumento “personale” come i dpcm, ma su un tavolo in cui sapeva già avere gioco facile e partita quasi già vinta. Perché allora l'ultimatum? Prima di tutto per rovesciare proprio contro Conte la sua rivendicazione di “non populismo”. Detta accusa, nella accezione renziana, non coincide infatti solo né principalmente con l'assunzione di decisioni prese per accativarsi consenso ma nella personalizzazione, nell'accentramento di potere, nell'instaurazione di un rapporto diretto tra leader e popolo. Il populismo secondo Matteo è peronismo ed è dunque proprio il tipo di rapporto con il popolo, e di relativo consenso ricevuto, che Conte avrebbe costruito nella prima fase della crisi Covid-19.Ma “populista” è anche l'intera visione del M5S e si tratta di una visione che dovrebbe, data la forza parlamentare che il Movimento conserva, condizionare fortemente le scelte di politica economica sia subito, quando ancora si tratta di fronteggiare l'emergenza, sia nel prossimo futuro, quando all'odg ci sarà la ricostruzione. Lo scontro tra i renziani che volevano concentrare le risorse del prossimo dl ormai “maggio” nel sostegno alle aziende e i 5S che difendevano il sostegno diffuso e il Reddito di emergenza è stato e probabilmente ancora è uno dei principali ostacoli che rallentano la marcia del dl. Di qui a una settimana saranno noti i dettagli della nuova linea di credito del Mes, le famose “condizionalità” ed è probabile che lo scontro, congelato in attesa di quelle necessarie chiarificazioni, si riaccenda. E' su quelle scelte che pesa l'ultimatum dell'ex segretario del Pd. uiSullo sfondo naturalmente campeggia l'obiettivo, mai perso di vista, di sloggiare Giuseppi da palazzo Chigi. Tramontata, per ora, la chimera del governo di unità nazionale, Renzi punta ora a un cambio di maggioranza, con l'espulsione dei duri, anzi dei “populisti” del M5S e la loro sostituzione con la truppa berlusconiana. Al posto di Conte dovrebbe insediarsi a palazzo Chigi un Pd, con Franceschini in pole position. Quanto all'opposizione determinante dei 5S Renzi, giocatore d'azzardo per eccellenza, scommette che alla fine l'istinto di sopravvivenza parlamentare dei singoli prevarrà e il grosso dei gruppi a cinque stelle si piegherà.E' un'opzione che al Pd piace poco. Ma nel partito di Zingaretti l'insofferenza nei confronti sia di un poco amato Conte sia del “populismo dei 5S che frena tutto” è molto più diffusa di quanto non appaia e l'esca di palazzo Chigi è allettante. Manca un casus belli. Per ora...