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Non si può escludere che la riforma penale e del Csm contenga l’ipotesi di «verifiche sull’equilibrio» dei magistrati. Non è affatto tramontata la previsione di sanzioni disciplinari per i giudici “tardivi” nel depositare le sentenze. Eppure con sorprendente coralità tre storici gruppi dell’associazionismo giudiziario, ossia Unicost, Area e Magistratura indipendente, pronunciano la loro «ferma contrarietà» a un’altra possibile novità in arrivo con il ddl del ministro Bonafede: il riconoscimento agli avvocati del diritto a votare nei Consigli giudiziari anche sulle valutazioni di professionalità delle toghe.
In realtà un testo ufficiale della riforma Bonafede non è ancora disponibile. Certoda parte del guardasigilli, del Pd e di Italia viva c’è l’intenzione di rivedere anche il funzionamento dei Consigli giudiziari, gli organismi istituiti in ogni distretto che cooperano con il Csm nell’autogoverno della magistratura. Alcuni esponenti della maggioranza si sono sbilanciati a favore della partecipazione a pieno titolo di avvocati e professori universitari anche quando si decide sulla professionalità di pm e giudici. Ma soprattutto lo ha fatto, a titolo personale, il vicepresidente del Csm David Ermini, che in un’intervista al Dubbio ha definito «molto importante» la «valutazione dell’avvocatura sulla professionalità dei magistrati».
Di fonte a una situazione comunque ancora fluida, correnti moderate e progressiste si trovano per una volta allineate: no al voto degli avvocati. Al momento non si registra una nota ufficiale di Autonomia e Indipendenza: ma non ci sono dubbi su un’avversione al giudizio della classe forense che, nel caso del gruppo fondato da Davigo, è notoriamente persino più radicale rispetto agli altri.
Unicost paventa il rischio di «effetti distorsivi» sulle dinamiche processuali e ricorda come la riforma del 2006 già consenta agli Ordini forensi la segnalazione di «ogni fatto rilevante» per la valutazione dei giudici: segnalazioni che però vengono fornite appunto in forma “cartolare”. Magistratura indipendente arriva addirittura ad alludere agli avvocati quali «soggetti estranei alla giurisdizione», in contrasto con riflessioni ormai diffusissime nell’ordine giudiziario, nel quale si radica sempre più l’idea di una indispensabile alleanza tra avvocatura e magistratura.
Secondo Area, poi, «proposte» come quelle relative ai Consigli giudiziari finirebbero per «radicare nell’opinione pubblica l’idea che la magistratura abbia necessità di controlli esterni essendo inadeguati quelli, rigorosi, cui i magistrati italiani sono sottoposti». La stessa corrente progressista ricorda, in modo anche più preciso delle altre, che «il «cosiddetto diritto di tribuna della classe forense è stato già esteso in modo consistente».
Dato indiscutibile: basti citare il caso recentissimo del Consiglio giudiziario di Bari, in cui la partecipazione ( seppur senza voto) degli avvocati alle valutazioni di professionalità è stata appena introdotta. C’è dunque uno scarto evidente tra l’allarme delle correnti e la pratica quotidiana della giurisdizione. Soprattutto, i timori di veder pregiudicata «l’indipendenza e la serenità» delle toghe sono in contraddizione con quanto dichiarato più volte da magistrati della levatura di Giovanni Canzio.
Proprio il presidente emerito della Cassazione, da componente di diritto del Csm, ha sostenuto con forza l’opportunità che in ogni Consiglio giudiziario, almeno il presidente dell’Ordine capoluogo partecipi ai lavori «con pieni poteri deliberativi». Anche considerata quella che Canzio, in un’intervista a questo giornale, ha definito come una «distonia rispetto al Csm, nel quale la presenza attiva dei membri eletti dal Parlamento - avvocati e professori universitari - è assolutamente garantita pleno iure.
Non si comprende», secondo il presidente emerito della Suprema corte, «perché la ratio dell’articolo 104 della Costituzione - evitare cioè il rischio di un governo autoreferenziale e corporativo dello statuto professionale dei magistrati - non debba permeare anche le regole dei Consigli giudiziari, che pure sono organi distrettuali ausiliari dell’autogoverno della magistratura e titolari di poteri prevalentemente consultivi in tutte le materie riservate al Csm».
In quell’intervista rilasciata lo scorso aprile al Dubbio, Canzio ha evocato «l’indipendenza di giudizio, la correttezza dei comportamenti e la serietà dei contributi offerti dagli avvocati e dai professori nelle valutazioni dei magistrati». Un atteggiamento impeccabile che lui stesso spiega di aver «potuto constatare» da presidente dei Consigli giudiziari di Milano e L’Aquila e presso la stessa Cassazione, nel cui Consiglio direttivo siede a pieno titolo il rappresentante dell’avvocatura - in quel caso è il presidente del Cnf. Soprattutto, Canzio ha intravisto nella «avversione di talune componenti della magistratura associata» una certa fatica a «considerare quali siano i valori in gioco». Riferimento alla «autonomia della giurisdizione» che può essere difesa solo con l’impegno condiviso di magistrati e avvocati.
Certo sarà più arduo difenderla con un arroccamento sindacalista quale quello che sembra leggersi dietro il no delle correnti alle ipotesi di riforma. Un muro spiegabile forse con la campagna elettorale in corso per le suppletive ma sganciato da una visione più ampia sul futuro della giustizia.