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La guerra delle percentuali di aderenti allo sciopero, con uno scarto assurdo tra la valutazione di Confindustria e quella di Cgil e Uil, rende difficile trarre conclusioni millimetriche sull'esito dello sciopero generale di ieri. Ma anche all'ingrosso il dato politico è invece certo: la Cgil è uscita in piedi da una sfida a massimo rischio e non era affatto scontato in partenza. Al contrario, nella lunga storia dei conflitti sociali e sindacali italiani, non si era mai vista una presa di posizione contro lo sciopero così compatta, con poche voci fuori dal coro, e così estrema, fino a far apparire la decisione dei due sindacati quasi un irresponsabile e immotivato capriccio, una follia non comprensibile, alla stregua delle proteste No Vax. Quello raggiunto da Landini e Bombardieri è dunque un risultato che peserà molto sul prosieguo della legislatura e che potrebbe incidere anche sulla linea che adotterà Draghi.
La mossa effettivamente molto forte di Cgil e Uil aveva due obiettivi: aprire una vertenza generale di carattere politico e progettuale sugli orizzonti della strategia economico- sociale dopo la frattura storica rappresentata dal Covid e sottrarsi al metodo Draghi, quello che consiste nell'ascoltare tutti, sia le parti politiche che quelle sociali, ma senza mai considerare vincolante il loro parere né pregiudizialmente necessario il loro assenso alle scelte del governo. I partiti hanno accettato, di fatto l'impostazione del premier. Il Pd lo ha fatto più di tutti gli altri, sino a fare dell'identificazione totale fra le proprie posizioni e quelle del governo un asse strategico. Il sindacato ha deciso invece di non accettarlo, anche a costo di rischiare una sconfitta rovinosa. Il Pd, la cui ottemperanza alle scelte del governo era uno dei principali bersagli della mobilitazione sindacale, sarà costretto a tenerne conto.
Nel merito lo scontro si è acceso intorno a una legge di bilancio che cerca di tenersi in equilibrio non solo tra le divergenti spinte politiche ma anche tra gli opposti interessi sociali, e che proprio per questo difetta di visione, cioè di orizzonte progettuale definito. Proprio questa scelta di non scegliere è nel mirino sia dei sindacati che di Confindustria. Ma quanto potrà reggere un simile equilibrio, che persino su questa modesta legge di bilancio registra l'irritazione di Confindustria e il conflitto aperto con Cgil e Uil? Tra due giorni, lunedì prossimo, Draghi inaugurerà il tavolo sulle pensioni, questione da sempre incandescente. Gli 8 miliardi stanziati in manovra sulla riforma fiscale avevano appena il senso di un'indicazione, ed è già bastata a provocare uno sciopero generale. Con la crisi energetica che potrebbe rivelarsi molto più lunga e dolorosa del previsto, con una conseguente inflazione che marcia a passo di carica, il nodo inevaso dei salari bassi emergerà per forza nei prossimi mesi.
Dunque elementi di fortissima tensione sociale dovranno essere affrontati da una maggioranza tanto divisa da non riuscire neppure a varare quel contributo di solidarietà che avrebbe probabilmente evitato lo sciopero. E dovranno essere risolti con sindacati che hanno già scelto di non uniformarsi alla linea dei partiti, cioè alla sostanziale delega di ogni scelta finale al commissario Draghi. Il tutto nel pieno di una campagna elettorale che inizierà subito dopo l'lezione del capo dello Stato e che sarà combattuta con le unghie e con i denti perché, se i sondaggi registrano a tutt'oggi la prevalenza della destra, riflettono anche un quadro del tutto aperto, dunque oggetto di massima contesa.
Probabilmente Draghi è stato sin dall'inizio consapevole del poter fare con una maggioranza che di fatto non è politica data la compresenza degli opposti solo alcune cose. Per il resto si è affidato e si affida al suo carisma e al suo ruolo, che è appunto più quello di un commissario che di un premier. Ma proprio l'iter della legge di bilancio, sia sul fronte politico che su quello sociale, potrebbe convincerlo dell'impossibilità, per un governo non politico, di procedere, almeno su alcuni fronti. Se dovesse maturare nelle prossime settimane una simile convinzione la sorte del governo non sarebbe più legata solo alla sua eventuale elezione a presidente della Repubblica e la sorte della legislatura sarebbe comunque segnata.