Perdere le elezioni in una regione non è una tragedia, a maggior ragione se si tratta di una regione già governata dal vincitore. Il caso della Liguria è opposto. Qui la sconfitta del centrosinistra, non ancora scontata ma che stando alle proiezioni appare probabile, sarebbe grave, sia per le circostanze specifiche liguri sia per gli effetti dell'eventuale sconfitta.

Il centrosinistra partiva più che avvantaggiato dopo lo scandalo che aveva travolto il governatore uscente Toti. Le europee confermavano lo scarto: due settimane fa il vantaggio della sinistra era di 7 punti. Infine, in campo c'era non un candidato civico ma un dirigente nazionale e perdere quando ci si giocano le carte più forti è sempre molto più cocente. In due mesi il centrosinistra ha bruciato un vantaggio che pareva non lasciare più margini di gioco.

Perché i rivali hanno trovato il candidato giusto, certo, ma soprattutto perché gli sconfitti hanno fatto il possibile, anzi quasi l'impossibile, per diventare tali. Il voto in Liguria urla a pieni polmoni quel che tutti sapevano ma tutti tacevano e soprattutto evitavano di confessare anche a se stessi. La coalizione di centrosinistra non c'è, non esiste, è solo elettorale, non politica e anche come polo esclusivamente elettorale tiene pochissimo. Ma il Pd incamera un risultato che sarebbe brillante anche in caso di sconfitta, che sarebbe magico se al fotofinish il centrosinistra si aggiudicasse un match importantissimo.

Basta mettere i vari elementi in fila: il veto di Conte ha sbarrato la strada a Renzi. Probabilmente l'assenza di Iv non è costata molto in sé ma altrettanto probabilmente è stata invece esiziale in termini di messaggio. L'immagine di una Elly Schlein schiacciata sul M5S e persino un po' succube dell'aggressivo alleato è stata confermata dalla resa di fronte al diktat di Conte. Per quei numerosi elettori potenziali del centrosinistra che digeriscono a fatica i 5S ma sarebbero pronti a ingoiare l'amara pillola purché la leadership fosse chiaramente in mano alla leader del Pd Non altrettanto con una leader costretta a piegarsi di fronte ai capricci di un alleato che fa pesare senza remore il suo potere di interdizione.

Non pago, Conte non ha esitato a dichiarate "morto" il campo largo. Perché gli elettori avrebbero dovuto votare un polo già cadavere resta oscuro. Infine a due giorni da voto il leader dei 5S ha scelto di muovere un passo traumatico come il licenziamento del fondatore e guru Beppe Grillo, incidentalmente genovese e quindi dotato di un suo seguito più fedele che altrove a Genova. Un passo falso talmente clamoroso da costringere a chiedersi se il leader dei 5S, contrario alla candidatura di Andrea Orlando, non volesse perdere per far capire che o si fa come dice lui o si perde, con gli occhi già puntati sulle elezioni politiche. Nel caso sarebbe stata una scommessa troppo azzardata. Il disastroso esito nel voto di lista che si profila rende l'avvocato molto più debole in una sfida con Grillo che non si è affatto conclusa, dal momento che il comico ha dimostrato di contare pochissimo nel ceto politico pentastellato ma di pesare invece ancora molto tra gli elettori.

A questo punto per Elly Schlein sarà impossibile cavarsela, come ha sempre fatto sinora, mettendosi al riparo dietro la formula "Io resto testardamente unitaria". Dovrà decidere una linea, una strategia e imporla anche a costo di sacrificare un lato del campo che vagheggia. Insomma dovrà diventare leader della coalizione e se non uscirà non resterà a lungo neppure segretaria del Pd. Un possibile ribaltamento delle proiezioni cambierebbe ovviamente il quadro ma non lo rovescerebbe. Il centrosinistra e il Pd si sarebbero salvati per miracolo, ma i problemi evidenziati dal testa a testa resterebbero identici.

La destra può essere soddisfatta. E' uscita indenne dalla mazzata giudiziaria. Mantiene la presa su una regione che sembrava persa. Il solo guaio è in prospettiva. L'anno prossimo si voterà in Veneto e lì il braccio di ferro tra FdI e Lega è durissimo, ma con tre regioni su cinque del nord governate dalla Lega e la quarta da Fi, mai e poi mai Giorgia Meloni accetterà di non mettere un tricolore come candidato nel Veneto leghista. Anche se il risultato del partito della premier, che ha perso più del dieci per cento, in quest'ottica non aiuta di certo la causa di Giorgia.