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Con gli ultimi chiari di luna elettorali, nessuno ci avrebbe messo la mano sul fuoco. Invece quel 31% che arriva dall’Abruzzo potrebbe essere un primo segnale di primavera per il centrosinistra. Nessuno si azzarda ad alzare i toni dell’esaltazione: le regionali sono sempre una partita a se stante e risentono di mille condizionamenti territoriali; in Abruzzo il Pd era il governo uscente, quindi con posizioni consolidate a livello locale; il candidato Giovanni Legnini era un buon nome; intorno a lui si erano radunate tutte le liste della galassia di sinistra extra Pd. Eppure, rimane il fatto che il centrosinistra era dato per terzo dai sondaggi, invece ha staccato di oltre 10 punti il Movimento 5 Stelle e ha dimostrato di essere l’unica alternativa alla destra salviniana, almeno a livello territoriale.
A questo punto, dunque, al Nazareno e in Transatlantico c’è fermento. Bisogna agguantare questo vento che, se non favorevole tanto da portare alla vittoria, almeno ha smesso di soffiare contro.
I dati certi in mano ai dem sono che un candidato credibile rimane ancora oggi l’unico vero punto di forza dell’offerta politica del centrosinistra, ma anche che le alleanze sono necessarie, anche se per ora non sufficienti. Anche perchè il dato scorporato colloca il Pd - nel voto di lista - all’ 11,13%. Vero è che il candidato Legnini è un dem e ha evidentemente prosciugato parte dei bacini elettorali sul suo nome, ma la poca attrattività del simbolo resta, insieme al risultato deludente del partito rispetto alle liste civiche di centrosinistra, che insieme totalizzano il 20%.
«Tutti i sondaggi ci davano terzi, siamo ampiamente secondi, con uno spostamento a destra dell’elettorato», ha esultato Legnini, attaccando i 5 Stelle: «Mi sembra abbastanza evidente che M5 esce sconfitto da questa competizione e credo che l’esperienza di governo abbia inciso non poco con riguardo a questo esito». Il ragionamento dell’eroe per un giorno del centrosinistra unito è esplicito: «Penso che il centrosinistra in Italia debba riaprire un canale di partecipazione, debba tendere verso un modello coalizionale aperto e largo come abbiamo fatto qui conseguendo un risultato molto superiore a 11 mesi fa, non sufficiente per vincere ma ciò era abbastanza prevedibile» . Per ora e fino al 3 marzo, tuttavia, il Nazareno rimane un cantiere aperto e non pronto a lanciare campagne di unificazione. I candidati segretari lodano l’impresa di Legnini, con Nicola Zingaretti che ribadisce come «Divisi non è una soluzione», alludendo ai tre candidati di centrosinistra presentati in Basilicata. E traduce il tutto a livello nazionale: «La strada ancora lunga ovviamente, ma è la strada giusta, cioè radicare socialmente e culturalmente e con una proposta di governo di nuovo le nostre forze, allargare e costruire un nuovo centrosinistra che con maggiore empatia rispetto al Paese si riproponga come un’alternativa», ragiona il governatore del Lazio, che punta a costruire un «campo largo» di forze politiche e civiche. Anche il suo diretto competitor, Maurizio Martina, si è complimentato con Legnini, parlando di un Pd «unica alternativa alla destra. La propaganda 5Stelle sbatte contro la realtà. Un nuovo centrosinistra aperto al civismo è la strada da percorrere per tornare a vincere». Al netto delle divisioni precongressuali, dunque, i dem convergono tutti su un punto: per essere l’alternativa alla destra, bisogna allargarsi. Linea condivisa anche dal bizzoso Calenda: «Legnini ha fatto un grande lavoro e dimostra che ci vuole un fronte che vada oltre il Pd. Perché un risultato così alle europee cambierebbe radicalmente e positivamente lo scenario politico italiano» . Sul fronte extra- dem, le platee non si scaldano davanti al dato abruzzese ( anche a causa della frammentazione interna, soprattutto in quel che resta di Liberi e Uguali), ma qualche tiepido segnale di avvicinamento si avverte. La ex presidente della Camera e deputata di Liberi e Uguali, Laura Boldrini, ha parlato di «centrosinistra che riprende quota grazie alla candidatura autorevole di Legnini e a una coalizione larga, unita e civica.
Questa è la strada da seguire per riaffermare i valori progressisti in Italia e in Europa». Dello stesso avviso anche il presidente della Toscana, Enrico Rossi, autorevole esponente della compagine ex Pd: «La coalizione unitaria di centrosinistra di Giovanni Legnini, dai progressisti ai cattolici, dai liberali ai socialisti e a forze civiche, recupera e ottiene un 30%, aumentando in voti assoluti. È un risultato da cui ripartire, un’indicazione politica per future elezioni».
Sulla latitudine opposta dell’asse di centrosinistra, anche la leader di Civica Popolare, Beatrice Lorenzi, ragiona sul fatto che «La rimonta della coalizione di centrosinistra intorno a Legnini ci dice che con un candidato credibile e autorevole con un progetto serio e pragmatico per l’Abruzzo si può fare la differenza». Il dato su cui pone l’accento è «l’apertura alle civiche oltre il tradizionale schema del centro sinistra, capacità di aggregazione e inclusione: tutto questo fa il risultato».
Una rondine non fa primavera, ma tra i ghiacci del centrosinistra ancora provato dalla batosta del 4 marzo è comunque un segnale forte. Ora, il tentativo è quello di lavorare per ottenere lo stesso risultato anche alle prossime regionali: se in Basilicata la situazione è balcanizzata, la speranza arriva invece dalla Sardegna.
Sull’isola si vota il 24 febbraio e il candidato dem ed ex sindaco di Cagliari, Massimo Zedda, potrebbe riuscire nel miracolo mancato da Legnini. Anche lui si presenta a capo di una coalizione unitaria che contiene da Liberi e Uguali a Campo Progressista e i Cristiano Popolari Socialisti; anche su di lui pesa il fatto di rappresentare di fatto il governo uscente. I sondaggi, però, lo premiano con una forbice da 27 al 33%, a tallonare il candidato di centrodestra Christian Solinas ( 33- 37%). E al Nazareno lo sforzo a sostegno e massimo: le europee si avvicinano, e servono quante più rondini possibili.