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Associated Press/LaPresse
Alle 16:15, quando in teoria era prevista l’informativa “congiunta” dei ministri Nordio e Piantedosi, l’Aula della Camera è in realtà deserta. Il question time è appena terminato, e i lavori non riprenderanno prima di lunedì. Anche il Transatlantico è praticamente deserto, qualche parlamentare di maggioranza si aggira per i corridoi attendendo indicazioni dal proprio partito, quelli di opposizione sono invece sul piede di guerra.
Nella capigruppo convocata d’urgenza e terminata poco prima i rappresentanti di Pd, M5S, Avs, Azione e Iv hanno preteso il blocco dei lavori, come fatto qualche ora prima in Senato. In fretta e furia viene sconvocato il Parlamento in seduta comune, che domani avrebbe dovuto eleggere i quattro giudici vacanti della Corte costituzionale. Non se ne farà nulla, «non mi pare ci sia il clima adatto per un accordo», spiega il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani. Come dargli torto.
«Giorgia Meloni e i suoi ministri non si nascondano dietro la scusa del segreto istruttorio - tuona il capogruppo dem al Senato, Francesco Boccia - Ministri di questo governo e di governi precedenti hanno riferito in Parlamento pur raggiunti da una comunicazione di iscrizione nel registro degli indagati». Eppure, dal governo solo silenzio. «Il governo non scappa da nulla e da nessuno» ma dopo la comunicazione sull’indagine nei confronti della premier Meloni e dai ministri Nordio e Piantedosi «è necessaria una riflessione», spiega Ciriani. È subentrata «una questione nuova eclatante e credo anche senza precedenti», insiste, ma «appena possibile, forse anche prima della nuova capigruppo di martedì, il governo comunicherà chi riferirà» in Aula. In realtà era pronto a presentarsi lui stesso a nome del governo, ma le opposizioni hanno detto no. «È evidente che la sua presenza non è sufficiente», sottolinea il capogruppo M5S a palazzo Madama, Stefano Patuanelli.
La tensione si taglia con il coltello, in buvette il presidente M5S Giuseppe Conte parlotta con il capogruppo di Forza Italia alla Camera, Paolo Barelli, e il leader di Noi Moderati, Maurizio Lupi. Poco prima l’ex presidente del Consiglio in diretta social aveva accusato Meloni di essere «complice di un criminale e delle sue nefandezze». Conte è l’unico leader d’opposizione a presidiare il Transatlantico, gli altri sono qualche decina di metri più in là, nella sala dedicata alle conferenze stampa, dove su invito di Avs stanno parlando David Yambio e Lam Magok, portavoce dei Rifugiati in Libia. Ci sono Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli, la segretaria del Pd Elly Schlein, quello di Più Europa Riccardo Magi, e ci sono Maria Elena Boschi e Ivan Scalfarotto di Iv e la pentastellata Vittoria Baldino. La sala è gremita.
«Vi scriviamo come vittime e sopravvissuti di Osama Najim Almasri - spiegano i portavoce dei Rifugiati in una lettera indirizzata a meloni, Nordio e Piantedosi - I nostri corpi portano i segni dei suoi crimini e le nostre menti sono piene di ricordi che nessun essere umano dovrebbe sopportare». E ancora. «Quando Almasri è stato arrestato a Torino, abbiamo creduto, anche se per poco, che la giustizia potesse raggiungere quelli di noi che hanno conosciuto solo la sofferenza, ma voi ci avete tolto questa speranza, rispedendolo in Libia, dove continuerà a fare del male ad altri, come ha fatto a noi», aggiungono. Schlein, Fratoianni e Bonelli ascoltano seduti fianco a fianco. «Il dolore per questo tradimento è profondo: è lo stesso dolore che ci portiamo dietro da anni», concludono i rifugiati.
«Oggi un’informativa sul caso Almasri c’è stata ed è stata un bagno di verità, dura, come succede quando le storie di persone in carne ed ossa irrompono sulla scena - spiegano poi le forze di opposizione - A farla però non è stato il Governo Meloni come sarebbe stato giusto e necessario e come continuiamo a chiedere. L’informativa l’hanno fatta David Yambio, Lam Magok e Mahamat Daou, vittime di Almasri. Ci hanno consegnato quattro lettere indirizzate a Giorgia Meloni, Carlo Nordio, Matteo Piantedosi e Alfredo Mantovano chiedendoci di consegnargliele. Noi ci impegnamo a farlo insieme». Dall’inizio della legislatura forse il centrosinistra forse non è mai stato così compatto come oggi, e da Schlein a Conte, da Fratoianni a Calenda fino a Renzi, i leader del campo largo (larghissimo, una volta tanto) non sembrano aver alcuna intenzione di mollare la presa.