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Forse non è tutta colpa sua, i vincoli del bilancio e lo stato dell'economia europea sono quello che sono, ma in politica interna Giorgia Meloni arranca. Forse non è tutto merito suo, da alcuni punti di vista la turbolenza mondiale le sta dando una mano, ma in politica estera invece la premier ha raggiunto successi non indifferenti e si sta muovendo con perizia e abilità. Finché si trattava solo del conflitto tra Russia e Ucraina la manovra era semplice anche se non scontata in partenza: rovesciare l'alleanza internazionale precedente, sostanzialmente vicina a Putin, per sgombrare di blocco il capo da ogni sospetto di fronda anti Nato per imporsi anzi come punto di riferimento privilegiato della Nato nell'Europa occidentale, almeno in questo contesto. Ci voleva drasticità perché anche un attimo di esitazione iniziale sarebbe stato esiziale ma la drasticità. Merce rara nella politica italiana, è invece proprio una delle principali doti della leader di FdI.
In Medio Oriente le cose sono meno nette e dunque meno semplici ma anche qui la presidente del consiglio sta riuscendo a sfruttare la situazione a proprio vantaggio tenendo in equilibrio un sostegno a Israele non sospetto, cosa che una leader proveniente dal neofascismo non potrebbe in alcuna misura permettersi, ma anche una posizione equilibrata e non scamiciata, favorevole alla moderazione pur riconoscendo in pieno il diritto di Israele a una reazione forte.
La premier italiana si trova da questo punto di vista in posizione avvantaggiata rispetto agli altri Paesi i cui capi di governo si sono incontrati telefonicamente la notte scorsa per poi partorire una dichiarazione comune appunto su questa linea (Usa, Uk, Francia, Germania e Italia). L'Italia ha un passato di dialogo con il mondo arabo e con i palestinesi quale nessun altro poteva vantare ai tempi della Prima Repubblica, deve scontare l'handicap di un passato coloniale meno gravoso degli altri Paesi europei, non deve fare i conti con un'immigrazione islamica possente e tendenzialmente ostile come la Francia e, nonostante le leggi razziali del 1938, neppure con l'ipoteca stringente che la colpevolezza tedesca nella Shoah rappresenta.
Come al solito, Salvini non rinuncia a competere con l'alleata alzando puntualmente la posta e abbracciando le posizioni più estreme. Le manifestazioni che intende convocare per i primi giorni di novembre non hanno fatto alcun piacere a Chigi ma, almeno per il momento, sono punzecchiature e niente di più. Con il ministro della Difesa Crosetto e quello degli Esteri Tajani fermamente attestati sulla linea della premier, Salvini non ha alcun margine di azione. In compenso il gioco di squadra con Tajani agevola Meloni in una manovra non semplice.
La partita giocata sulla testa di Andrea Giambruno, peraltro responsabile numero uno dei suoi guai, è probabilmente essenzialmente interna a Mediaset, dove si fronteggiano una cordata più governista e una, di cui fa parte Antonio Ricci, invece frondista. Ma sullo sfondo c'è anche il mal dissimulato scontro tra la premier e Marina Berlusconi, una frizione seria dovuta all'intenzione di Meloni, confermata dal suo fedelissimo Donzelli, di non considerare più l'interesse Mediaset come criterio superiore a ogni altra considerazione. Ovunque nel mondo sarebbe una ovvietà. In Italia, dopo 30 anni ispirati al principio opposto nelle politiche della destra e spesso anche del centrosinistra, è uno sconvolgimento.
Per la premier, nonostante la strada accidentata e costellata di fallimenti sul fronte dell'immigrazione, la politica estera resta un punto di forza e forse il principale punto di forza. Per l'opposizione è vero il contrario. Le posizioni molto distanti e quasi opposte in merito alla guerra russo- ucraina sono state sinora il principale ostacolo nei rapporti tra Pd e M5S, al netto della contrapposizione fisiologica di qui alle Europee. Sul Medio Oriente potrebbe essere peggio. Il M5S, probabilmente con l'eccezione di Conte, è forse il partito più schierato con i palestinesi che ci sia in Italia. Il Pd non lo è e non può esserlo pena una spaccatura interna non ricucibile. Al momento le due posizioni, tenute non a caso abbastanza in sordina, non sono entrate in conflitto aperto. Ma una guerra sul suolo di Gaza, con i carri armati israeliani nella striscia, le farebbe emergere.