Lì’ìappuntamento è per l’inizio della settimana prossima. Quando Pd e Ncd dovranno trovare un’intesa sulla prescrizione. Costi quel che costi. Un rinvio della commissione Giustizia di Palazzo Madama sulla riforma del processo sarebbe disastroso. Ma è sicuro che qualunque ragionevole intesa sarà impallinata senza pietà dai cinquestelle. Il che sarebbe avvenuto anche senza la tempesta mediatico-giudiziaria scatenatasi su Alfano, evidentemente. Certo il clima di questi giorni complica le cose. A tal punto da mettere la maggioranza in grave difficoltà sulla giustizia. E da scaraventare sul banco dei presunti colpevoli persino una figura apparentemente inattaccabile come quella di Raffaele Cantone.Le polemiche che insidiano sempre più spesso il presidente dell’Anac danno la misura esatta di quanto il governo, che lo ha nominato, sia allo stremo. Soprattutto sulla giustizia. Cantone come Renzi. L’utilità dell’Agenzia da lui presieduta come la riforma della prescrizione. Snodo quest’ultimo che si annuncia come un vero e proprio calvario, per il Pd e gli alleati.L’approvazione in Senato del ddl sul processo penale sarà una sofferenza, considerato l’attacco mediatico-giudiziario a cui è sottoposto il leader di uno dei due partiti, Angelino Alfano. Un’aggressione a colpi di intercettazioni polverose e poco consistenti a cui si aggiungerà sicuramente l’offensiva grillina. La certezza viene dal destino segnato degli emendamenti che invece il Movimento cinquestelle voterebbe a scatola chiusa, compresi quelli iper giustizialisti di Felice Casson, il senatore dem che è anche relatore del ddl al cui interno sono inserite le norme sulla prescrizione. Quelle ipotesi di modifica sono state stroncate dalla commissione Affari costituzionali del Senato, chiamata a esprimere un parere su tutti gli emendamenti alla riforma penale. È da escludere che Luigi Zanda, nel suo confronto con gli alfaniani, possa forzare e rimettere in ballo le proposte di Casson.Basta questo per certificare l’inevitavbilità dell’attacco a cui di qui a pochi giorni sarà sottoposto l’ampio testo presentato dal ministro Orlando e già rimaneggiato dalla Camera. Il Pd e il suo maggiore alleato dovranno offrire il petto alle bordate provenienti dal cosiddetto apparato giustizialista. Ma proprio la giustizia è ormai il fronte sul quale l’azione dell’esecutivo è più esposta alle critiche. Non per l’opera del ministro, quell’Andrea Orlando a cui difficilmente si possono muovere rilievi personali, ma per una questione, si può dire, estetica. Sintetizzabile in una dichiarazione fatta dal grillino Cappelletti, secondo il quale in calce alla riforma del processo ci saranno le firme di «Alfano e Verdini». Ed è chiaro come l’assimilazione del ministro dell’Interno al leader di Ala sia conseguenza del clamore suscitato dalle intercettazioni che chiamano in causa il fratello e il padre di Alfano, oltre che lui personalmente, seppure come terminale di chiacchiere dal sapore millantatorio.La vulnerabilità della maggioranza sulla giustizia tocca però il punto più alto negli attacchi a Raffaele Cantone, presidente dell’Anticorruzione e figura non propriamente governativa. Cantone sarebbe in apparenza inattaccabile: apprezzato da tutti, magistrato anticamorra che ha messo in gioco la propria incolumità, figura di tale equilibrio da ricorrere persino nelle discussioni sulle newsletter della magistratura come possibile futuro candidato premier. Ebbene, ieri Cantone ha sentito il bisogno di difendere la sua Agenzia anticorruzione dalle accuse di fallimento nella prevenzione delle inflitrazioni mafiose all’Expo emerse nell’inchiesta milanese. Interpellato ieri sulla questione da Radio 24, Cantone ha detto che «qualcuno in questa vicenda sta provando a speculare, ma, diciamo, i fatti parlano molto più delle speculazioni. La domanda vera è che cosa sarebbe successo se non ci fossimo stati noi». E fa riferimento alle intercettazioni dell’indagine milanese in cui si dimostra, dice, che «qualcuno si è preoccupato di quello che noi facevamo e soprattutto sa che noi siamo andati a sparigliare le carte».Cantone risponde indirettamente ad attacchi come quelli, sistematici, che gli muove il presidente dell’Anm Piercamillo Davigo. È quest’ultimo, più di tutti, a sollevare il tema della presunta «inefficacia» dell’Anac nel prevenire la corruzione. Giornali schierati su posizioni spesso vicine a quelle della magistratura associata, come il Fatto, non hanno mancato di prendersela con l’uomo dell’Anticorruzione. Il quale dovrebbe farsi perdonare un peccato imperdonabile: è stato scelto dal governo Renzi. E in un momento del genere questa banale verità rischia di costargli caro. E prevalere sulla stima che pure nutre nei suoi confronti gran parte dell’opinione pubblica. Alla vicinanza all’esecutivo si somma la tradizionale diffidenza dei magistrati nei confronti di quei colleghi che fanno carriera fuori ruolo. Ma le difficoltà di una figura come Cantone sarebbero inspiegabili senza la caduta che vede rovinare giù nell’indice di gradimento l’intero esecutivo. Mai stato così debole e su nessun altro versante vulnerabile come sulla giustizia.