PHOTO
Prudenza e ascolto delle partiti sociali. Il presidente del Consiglio, insieme ai ministri dell’Economia e della Sanità sceglie un approccio concertativo per definire la fase due. E incontrando Cgil, Cisl e Uil a Palazzo Chigi espone il pano del governo: lockdown fino al 3 maggio, poi aperture graduali. «Poche riaperture mirate», riferiscono le fonti sindacali uscendo dall’incontro. Ma nel governo non c’è ancora una unità d’intenti sul da farsi: Italia viva spinge per una riapertura ad ampio raggio mentre esponenti dell'esecutivo come i ministri della Salute e degli Affari regionali, Roberto Speranza e Francesco Boccia frenano. «Il governo ha le idee chiare: dobbiamo mette in sicurezza la salute degli italiani: con la salute a rischio non c'è economia», dice Boccia a Confindustria che preme per mettere fine al lockdown. La fase 2 consisterà in «graduali aperture delle fabbriche e degli uffici nel rispetto di tutte le prescrizioni sanitarie per la sicurezza dei lavoratori», specifica il ministro.Dopo il 13 aprile potrebbero però già riaprire alcune piccole attività manifatturiere, meccaniche, farmaceutiche, e legate la filiera agroalimentare. Possibile anche il ritorno in cartolibrerie e altri piccoli negozi. Ma per uscire da casa bisognerà comunque aspettare maggio, quando potrebbero essere allentate delle restrizioni sugli spostamenti, ma non sull’obbligo mascherine e distanziamento sociale. Ma la giornata politica di ieri non è stata segnata solo dalla discussione sulla fase 2. Protagonista è stato anche il voto sul cura Italia. Opposizione da una parte, maggioranza dall’altra. Per la prima volta un provvedimento sull’emergenza passa al Senato a colpi di fiducia. Il maxiemendamento viene approvato con142 sì, 99 no e 4 astenuti. I ripetuti appelli all’unità del Presidente della Repubblica si infrangono alla prima prova d’Aula. La giornata è lunga e arricchita da un piccolo mistero che contribuisce ad esasperare gli animi. Dopo oltre un’ora, terminato il dibattito, il ministro per i Rapporti col Parlamento, Federico D’Incà, annuncia l’ok da parte della Ragioneria, presenta il maxiemendamento (che viene dichiarato ammissibile), con alcune modifiche dovute all’aggiornamento di norme contenute nel decreto Imprese, ma mentre sono in corso le dichiarazioni di voto le opposizioni denunciano che la commissione Bilancio non è ancora in possesso del maxiemendamento. Lega, FdI e Forza Italia insorgono. «Il testo c’è o no?», chiede Roberto Calderoli. Ignazio La Russa, protagonista anche di un botta e risposta con un senatore grillino accusato di indossare dispositivi di sicurezza adeguati, ricorda che «una volta depositato il testo non può più essere modificato», mentre dai banchi della minoranza urlano «vergogna». A questo punto prende la parola la presidente del Senato, Elisabetta Casellati, e mette in chiaro per il futuro: «Non succederà mai più che la presidenza possa derogare alla normale procedura», dice. «Avremmo dovuto seguire le regole normali e chiedo scusa all’Aula, non succederà più». Alla fine, con circa due ore di ritardo sul previsto, si procede con il voto. Ma l’esito è già scontato, le opposizioni hanno chiarito il loro atteggiamento nel corso delle dichiarazioni di voto. Il più duro, ovviamente, è Matteo Salvini, da tempo sostenitore della sordità della maggioranza alle richieste dei partiti di centrodestra. «Ci chiedete perché non votiamo questo decreto, perché sostanzialmente è una presa in giro per milioni di italiani che non vedranno una lira», dice il leader del Carroccio. «Speriamo che farete meglio al prossimo e lo voteremo», aggiunge Salvini, prima di puntare il dito contro un collega del Pd, “colpevole” di aver parlato di medici e sindaci eroi. «Ma non c’è una lira per i sindaci e non c’è una lira per i medici, non basta dire che sono degli eroi», incalza l’ex ministro dell’Interno, sostenuto dai banchi dell’opposizione. Poi un avviso a tutto l’esecutivo e al premier Giuseppe Conte: «Noi non abbiamo dato nessun mandato a nome del popolo italiano a Conte e Gualtieri per andare a trattare a Bruxelles, se firmeranno anche mezzo Mes, porteremo la sfiducia al governo in questa Aula», puntualizza Salvini. «Se l’Europa è fame, morte e sacrificio non è il futuro che dobbiamo lasciare ai nostri figli, riprendiamoci in mano il nostro paese senza dover andare con il cappello da nessuno».