Non accenna a placarsi la polemica sulle celebrazioni per l'ottantesimo anniversario della Liberazione, innescate dalle dichiarazioni del ministro Nello Musumeci, che aveva invocato “sobrietà”, definendo le manifestazioni «un dovere civile ma non una occasione per dividere il Paese». A rilanciare lo scontro è stato Maurizio Landini. Il segretario generale della Cgil, infatti, ha approfittato del clima già infiammato per mettere benzina sul fuoco: «Sarà un 25 aprile non solo di memoria, ma di lotta. Perché la libertà oggi è a rischio, e chi non lo vede è complice di un attacco sistematico ai diritti e alla democrazia».

Una dichiarazione che suona come una sfida diretta al governo, ma anche come un tentativo di politicizzare la ricorrenza, che puntualmente ha innescato una raffica di reazioni da parte della maggioranza. Il primo a replicare è stato Maurizio Gasparri (Forza Italia), che ha accusato Landini di «strumentalizzare il 25 aprile per fare opposizione al governo e riesumare una retorica da anni Settanta». Il ministro della Difesa Guido Crosetto ha parlato di «toni inaccettabili», invitando il sindacato a «non trasformare la Liberazione in un comizio contro l’esecutivo».

La sortita del leader della Cgil arriva infatti nel bel mezzo di una disputa politica che si protrae da settimane. A far salire la temperatura, per una querelle che si ripete puntualmente ogni anno, era stato proprio Musumeci, innescando la reazione immediata dell’opposizione. «Sobrietà è una parola ambigua, che nasconde il fastidio di una parte della destra per la festa della Liberazione», aveva detto Elly Schlein. «Non possiamo accettare che il 25 aprile venga svuotato del suo significato antifascista».

Da quel momento, le schermaglie non si sono più fermate. Il ministro Francesco Lollobrigida ha definito le accuse «una caricatura», mentre Ignazio La Russa ha rilanciato il suo personale approccio alla ricorrenza, parlando di «pacificazione» e «memoria condivisa». Ma il dibattito continua a ruotare intorno alla stessa frattura: quella tra chi vede il 25 aprile come un giorno universale di libertà e chi lo considera ancora una data divisiva.

In questo contesto, le parole di Landini assumono un significato preciso: non un richiamo generico alla memoria, ma una chiamata alla mobilitazione. «Oggi non siamo liberi – ha detto da Reggio Emilia – se milioni di persone vivono sotto la soglia della povertà, se il lavoro è precario, se si tagliano i diritti sociali e si delegittimano le voci critiche. Questo governo vuole il silenzio, ma noi saremo in piazza a fare rumore».

Una presa di posizione che ha spiazzato anche parte del centrosinistra. Dal Pd, Nicola Zingaretti ha parlato di «legittima preoccupazione», ma ha invitato a non «trasformare il 25 aprile in un corteo contro il governo», mentre Antonio Misiani ha invece sostenuto apertamente la linea della Cgil: «Il rischio autoritario è reale. Landini ha fatto bene a dirlo».

Nel frattempo, cresce la tensione anche sul piano istituzionale. A Milano, si teme una contestazione aperta durante la consueta marcia organizzata dall’Anpi, dove la presenza di esponenti della maggioranza è tutt’altro che scontata. A Roma, le Fosse Ardeatine restano un nodo sensibile: l’anno scorso la premier Meloni fu criticata per la sua dichiarazione giudicata troppo neutra, quest’anno si attende un nuovo messaggio. Dal Quirinale, invece, trapela l’intenzione di mantenere un profilo alto e unitario: il presidente Mattarella parteciperà alle cerimonie ufficiali, ribadendo la centralità della memoria antifascista nella storia della Repubblica.

Ma al netto delle dichiarazioni ufficiali, il clima resta teso. Il 25 aprile 2024 rischia di trasformarsi ancora una volta in una giornata di scontro politico più che di coesione nazionale. «Noi non ci faremo intimidire – ha concluso Landini – perché la Liberazione non è finita: è un processo continuo, che si difende ogni giorno, nei luoghi di lavoro e nelle piazze».

Un messaggio chiaro, che parla alla base sindacale e a un pezzo di società civile, ma che irrita un governo sotto pressione su più fronti. E soprattutto rimette al centro la vexata quaestio che da anni divide la politica italiana, sul fatto se il 25 aprile sia una festa di tutti o solo di chi si riconosce in una certa tradizione politica.