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Può sembrare una bestemmia, eppure qualcosa di simile tra Maurizio Landini e Matteo Salvini c'è. Non nei contenuti naturalmente e neppure si può intendere che i due abbiano ragione e torto in egual misura. Comunque si giudichi la Cgil è difficile negare che parte sostanziale del disagio e dei problemi che affliggono l'occidente derivi da una crescita incontrollata delle diseguaglianze sociali che in Italia galoppa persino più che altrove. La somiglianza, l'affinità anzi, è nello stile, nelle modalità con le quali i due intendono la politica. Se oggi si configurano quasi come rivali personali, comunque campioni per eccellenza delle rispettive parti, è proprio per questa affinità che va oltre le dinamiche comunicative che abbraccia la visione stessa della politica.
Salvini e Landini sono uomini da comizio. Intendono la politica come retorica incandescente e spesso anche come demagogia. Abbondano, l'uno e l'altro, nell'uso di parole e slogan forti, spesso del tutto sproporzionati alla realtà. Sarebbe già molto se nell'Italia del XXI secolo tornasse ad avere ruolo e legittimità un conflitto sociale non limitato qualche comparsata nei talk show e a pochi scioperi depotenziati e resi innocui da decenni di leggi e leggine fatte apposta per rendere qualsiasi velleità di conflitto inoffensiva.
Parlare di “rivolta sociale” quando non c'è traccia neppure di normale conflittualità è nella migliore delle ipotesi un'iperbole.
Ma le iperboli, e nel caso di Salvini una tendenza al vittimismo che fa apparire stoica Giorgia Meloni, non sono strumenti adoperati a caso, né dal capo leghista né da quello della Cgil. Entrambi si rivolgono alla pancia dei cittadini, in veste di lavoratori o di elettori. Entrambi cercando di fare leva sulle emozioni e sulle passioni: indignazione e rabbia in una caso, paura e rancore nell'altro. E' l'abc della comunicazione politica fondata sul comizio e sulla capacità oratoria, la formula base sulla quale, nel secolo scorso, hanno costruito la loro fortuna i grandi demagoghi. Eppure quella formula, nonostante i due leader in questione siano molto abili nel tradurla in parole e spesso strilli, sembra
non funzionare più.
Landini ha raggiunto negli ultimi due anni un importante successo politico, ricucendo grazie all'ascesa di Elly Schlein un rapporto con il Pd la cui assenza aveva di fatto indebolito molto il sindacato nella lunga fase precedente. Ma la mobilitazione sociale latita. Nonostante l'ingiustizia sociale sia da tutti riconosciuta e denunciata, nonostante le condizioni di vita dei lavoratori siano effettivamente peggiorate invece di migliorare sia pur gradualmente nell'ultimo quarto di secolo, la temperie emotiva dominate sembra essere una impotente rassegnazione, accompagnata dal puntuale quanto assolutamente inutile sfogo sui social network.
Salvini, cavalcando un vento che spirava e spira verso destra, aveva raggiunto livelli di consenso vertiginosi. Ma li ha persi in un battibaleno e la stessa retorica che lo aveva portato in vetta gli gioca ora contro, rendendolo quasi più patetico che temibile. Il limite, probabilmente, è che sono entrambi, il leader di un sindacato che conta ormai una maggioranza di iscritti pensionata e quello di una Lega che smotta anche nelle aree di insediamento storico, politici legati a una visione della politica vicina a quella del Novecento, il gran secolo dell'irruzione delle masse sulla scena politica. Un terremoto che squassò tutto e produsse naturalmente anche disastri, come era inevitabile di fronte a una trasformazione di tale portata. I tempi sono cambiati. Il XXI secolo, per ora, è segnato piuttosto dall'espulsione di quelle stesse masse da ogni ruolo politico attivo. La capacità di far leva sull'emotività delle masse deve accompagnarsi alla capacità fredda di muoversi in una dimensione nella quale la politica intesa come reale capacità decisionale sta tornando, o è già tornata a essere, faccenda di competenza delle élites, nella quale i ' cittadini', le masse, hanno poca voce in capitolo.
Giorgia Meloni, pur essendo arrivata alla vittoria sull'onda della demagogia, si è resa conto molto rapidamente di dover imparare a muoversi sul doppio registro. Un politico molto abile come Victor Orbàn ne era consapevole da molto prima. In Italia Giuseppe Conte cerca di muoversi anche lui sul doppio registro, partendo dall'estremo opposto rispetto a Meloni. Landini e Salvini stentano. Sono uomini del Novecento.