Qualche volta i passaggi politici molto rilevanti sono preparati minuziosamente e perseguiti lucidamente. Qualche altra volta, certo molto meno spesso, semplicemente capitano e tutto sta nel saper cogliere l'occasione. È quest'ultimo il caso del viaggio di Giorgia Meloni a Washington per l'insediamento di Donald Trump alla Casa Bianca. La presenza a Washington non era prevista. Al contrario la premier era decisa a evitare la trasferta.

Temeva la violazione del protocollo, dal momento che i capi di governo di solito non presenziano al giuramento del collega a stelle e strisce inviando per uso e tradizione solo gli ambasciatori. Ma l'arrivo a sorpresa del capo di governo italiano non avrebbe fatto una buona impressione in Europa e molto peggio dal momento che la conservatrice ripulita si sarebbe trovata inclusa in un'ammucchiata di sovranisti che a ripulirsi e istituzionalizzarsi per ora non ci pensano proprio.

L'elemento che più di ogni altro la aveva convinta a disertare la festa dell'Internazionale di destra è che, arrivando come componente della delegazione dei Consevatori, dei quali è oggi presidente il polacco Morawiecki, si sarebbe trovata, o così temeva, costretta a fare da comparsa nella festa di re Donald.

L'italiana ha cambiato idea solo perché il succitato sovrano, dopo averle concesso ciò che chiedeva, il semaforo verde per lo scambio tra la mancata estradizione negli Usa dell'ingegnere iraniano Abedini e la liberazione della giornalista Cecila Sala, le ha rivolto di persona l'invito e anche in tono piuttosto pressante.

Qualche dubbio era rimasto, in particolare il timore di fare uno sgarbo all'amica e alleata presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen. Però dire di non era in questo caso proprio impossibile. Solo che, per come si sono evidenziate le cose negli ultimi giorni, quello di Giorgia Meloni tutto è stato tranne che un sacrificio. Trump, si sa, è un tipo strano.

Il congresso ha diramato gli inviti secondo protocollo. L'associazione a lui vicina se ne è fregata e ha distribuito gli inviti a piacere del nuovo presidente. I capi di governo sono stati invitati, ma qualcuno sì e qualcuno no a seconda del gradimento presidenziale. Capita che in Europa di capi di governo invitati ce ne sia una sola. Un simile invito somiglia quindi da vicino a un'investitura.

In Europa la sorpresa è stata presa male ma più nella facciata che nella sostanza. La necessità in grado di gestire la mediazione tra le due sponde dell'Atlantico è evidente e alla fine per tutti è meglio Meloni di Orbàn. Lei, almeno, non è sospetta di putinismo e il particolare è determinante.

La leader della destra italiana è rapida nel cogliere le occasioni e non si è smentita. Subito prima della partenza ha fatto informalmente sapere che punta a un colloquio con il presidente sui dazi, cioè sul primo e più urgente tra i molti temi che creeranno problemi a non finire, almeno secondo le previsioni, nei rapporti tra Usa e Unione europea.

Va da sé che alla presidente del consiglio italiana verrà probabilmente richiesta una massiccia dose di abilità diplomatica, dote che peraltro sul teatro della politica internazionale ha già dimostrato di possedere. Trump, e Musk con lui, mirano a intavolare trattative e negoziati bilaterali con i singoli Stati molto più che con l'intera Unione.

La tenuta di un'Europa che esce molto malridotta dalla pessima prova offerta sinora con la crisi ucraina dipenderà molto, e forse per intero, dalla capacità di evitare quella strada e presentarsi compatta. Meloni deve il successo che ha ottenuto a Bruxelles proprio alla sterzata con cui è passata dal sovranismo greve delle origini a un'europeismo che mira sì a modificare in senso sovranista i connotati dell'Unione ma che non per questo sarà meno saldo. Per far quadrare il cerchio nonostante le spinte di Trump e dell'amico Elon Musk alla premier italiana serviranno molto equilibrio e mano salda nel tenere il timone.

La prima prova arriverà subito. Com'era prevedibile in cima all'agenda del nuovo presidente, alla voce Esteri, c'è la guerra in Ucraina e la sua visione è certamente molto diversa da quella che la Ue continua a ribadire. Con Giorgia Meloni ancora più determinata di quasi tutti gli altri.