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La pax pentastellata è stata imposta, o almeno accelerata, dalla necessità di evitare una deflagrazione che non avrebbe lasciato in piedi nessuno dei contendenti. Chi ha parlato con Giuseppe Conte, domenica sera, lo descrive più che soddisfatto, convinto che la crisi sia superata e che ora si possa partire nella costruzione della coalizione che in vista delle prossime elezioni politiche. È possibile che abbia ragione, che il peggio sia passato e che l'accordo nei 5S sia destinato davvero a reggere. Non è certo però, perché Conte ha lasciato in ombra un particolare allo stesso tempo determinante ed eloquente non solo nel caso particolare ma in generale: come comportarsi di fronte alla riforma della giustizia.
Per gli eletti, per gli elettori e i potenti consiglieri, prima fra tutti l'influente squadra del Fatto, il punto chiave è quello. Senza la provvidenziale notizia dell'ancor più provvidenziale accordo Grillo- Conte, i ministri che avevano accettato quella riforma sarebbero stati messi in croce. La pace ha solo in parte stemperato. Essenzialmente ha riposto la dolorosa faccenda nel congelatore per un po'. Non solo fino al 23 luglio, quando la riforma arriverà alla Camera. Lì c'è già pronta una formuletta che pare fatta apposta per l'insaziabile fame di rinvii che è tipica di Conte: «Faremo battaglia parlamentare». L'ultima parola non è ancora detta. Il testo può essere emendato, modificato, stravolto. Perché fasciarsi la testa quando ancora non è certo che sia rotta?
Non è quello che chiedeva Draghi, che al contrario aveva reclamato con toni severi «lealtà e responsabilità» insistendo perché la legge fosse votata coì come uscita dal Cdm. Non sarà accontentato e la cosa non gli farà certo piacere. Non è facile che la accetti senza tentare di forzare la mano. Perché addentrarsi su quel sentiero vuol dire esporsi a incidenti di ogni tipo: Lega, Fi e FdI non lasceranno infatti che a cercare di modificare la riforma sia solo il fronte giustizialista. Una volta apertosi il torneo degli emendamenti cercheranno di spostare gli equilibri anche loro, ma in senso opposto. Per Conte dare battaglia in Parlamento è un obbligo ma è uno di quegli obblighi che potrebbe far impennare subito la tensione con Draghi e riflettersi a strettissimo giro sul fragile equilibrio interno.
Ingaggiare una battaglia, inoltre, non vuol dire vincerla. Anche se Draghi accetterà di rendere la riforma della giustizia un campo di battaglia, i numeri non sono favorevoli all'M5S: certamene non al Senato ma neppure alla Camera. Di certo Conte farà l'impossibile per convincere Letta, che al momento non ci pensa per niente, a spalleggiarlo nella richiesta di emendamenti che gli permettano almeno di salvare la faccia di fronte alle file infuriate degli ex grillini ora contiani. Non è detto che Letta possa farlo, perché non sfiderà certo Draghi su una riforma che il Pd ha già esaltato. Non è detto che Draghi lo permetta, anche perché il pollice verso di mezza maggioranza almeno sarà comunque irremovibile. Quand'anche andasse tutto bene e qualche modifica di facciata fosse accolta, l'ex premier dovrebbe tener conto dei suoi supporter giustizialisti, sia all'interno che all'esterno del Movimento, che lo esaltano sì ma vogliono tornare nell'essenziale alla riforma per davvero, non solo come bandiera da agitare nello scontro con Grillo.
Come spesso capita quando Conte punta sul rinvio, stavolta le cose non si risolveranno da sole col tempo. Il nodo della giustizia, che per i 5S è infinitamente più importante di altre questioni che al paragone sono robetta come il Mes, arriverà al pettine. Se non riuscirà a strappare modifiche sostanziali Conte dovrà decidere se arrendersi e votare comunque la legge, strada a questo punto quasi ostruita, se bocciarla uscendo dal governo o se astenersi, mossa che suonerebbe come ennesimo rinvio perché dopo l'astensione i rapporti sarebbero comunque compromessi.
Il vero bivio, la prova per Conte e per la tenuta dei 5S sarà quella. Il grosso dei ' contiani' sia tra gli eletti che tra gli elettori mira all'uscita dal governo, o comunque non ne farebbe un dramma. L'ex premier potrà tenerli a bada per un po' ma non per molto. Ma a quel punto tutti i nodi sciolti pr finta ora, dallo scontro con Grillo a quello con il Pd, riemergeranno tutti insieme.