Nessuno, tra chi segue le vicende del centrodestra, è così ingenuo da pensare che una nota ufficiale di fine vertice possa realmente sancire la fine delle ostilità tra gli alleati ed evitare polemiche da qui alla fine dell'anno, quando cioè il Parlamento sarà chiamato ad approvare la Legge di Bilancio, al termine di un solitamente travagliato iter parlamentare. In questo caso, però, è stata proprio la genesi di quella nota - in genere costituita da affermazioni generiche e di circostanza – a rafforzare l'impressione che la dialettica, per usare un eufemismo, all'interno della coalizione sia molto sostenuta.

Lo staff del segretario leghista Matteo Salvini, infatti, ha anticipato nelle chat il testo del comunicato congiunto di fine vertice, salvo poi dover fare una rettifica, poiché la versione diffusa dal Carroccio, nella parte relativa alla politica Estera, non coincideva con quella diffusa da FdI e Fi. E la differenza, a dispetto del tentativo di minimizzare di via Bellerio, non era di poco conto: la versione “leghista”, infatti, parlava di «condivisione sulla crisi in Medio Oriente e sulla posizione del governo italiano relativamente alla guerra in Ucraina, con appoggio a Kiev ma contrari o ogni ipotesi di interventi militari fuori dai confini ucraini», mentre quella definitiva si fermava alla parola “Ucraina”.

Dal quartier generale della Lega si sono subito affannati a spiegare che si è trattato di un disguido: lo stesso Salvini, in persona ha tenuto a precisare che è stata «una scelta stilistica e non di contenuto, di un semplice errore», ma il fatto che lo staff del Capitano si sia affrettato ad anticipare gli alleati, e che l'incidente si sia prodotto su un argomento così sensibile per i rapporti di Palazzo Chigi con Bruxelles, autorizzano una punta di malignità nell'interpretazione di ciò che è accaduto.

Per tutta l'estate si è assistito al duello rusticano tra Lega e Fi sullo Ius Scholae e a quello più sfumato sull'Autonomia, tra gli stessi contendenti Ciò ha eclissato, almeno fino a ieri, la politica estera, territorio in cui la premier fa a fatica a contenere il malumore dell'alleato leghista per il progressivo aumento degli aiuti occidentali a Kiev, ora impegnata anche in una sortita all'interno del territorio russo. Il timore che la linea orbaniana del leader leghista (che non a caso a Strasburgo ha fatto un gruppo assieme al premier ungherese) possa essere brandita da via Bellerio in modo da incrinare la postura atlantista di Palazzo Chigi al cospetto di Bruxelles, ha anche generato - come ad esempio accaduto due giorni fa alla riunione dei ministri degli Esteri dell'Ue – dichiarazioni improntate alla prudenza da parte dei due ministri competenti (Crosetto e Tajani), per non schiacciarsi troppo sulla linea bellicista del presidente francese Macron e non innescare la reazione del Carroccio.

La questione degli aiuti militari resta un problema rilevante, all'interno della maggioranza, perché questi necessitano periodicamente di un voto parlamentare, e già in passato è stato il terreno dei distinguo della Lega. Il resto era filato tutto liscio: al termine di tre ore di riunione con Tajani, Salvini e Maurizio Lupi Meloni, per dare il senso dell'incontro, aveva parlato enfaticamente di «rinnovo del patto di coalizione» e di «totale sintonia su tutti i dossier», in modo da «continuare il lavoro avviato per tutta la legislatura, portando a compimento le riforme messe in cantiere e attuando il programma votato dai cittadini». Tra queste riforme – la presidente del Consiglio lo ha fatto dire più volte – non c'è lo Ius Scholae, e per serrare ulteriormente i ranghi Meloni ha insistito sulla lotta all'immigrazione clandestina, annunciando un intervento sulla legge Bossi-Fini per porre fine alle “storture” che consentono di eludere le regole sui flussi.

Sempre su questo temo, la premier ha anche difeso a spada tratta l'accordo con Albania per la creazione di due strutture per il trattenimento e il rimpatrio dei migranti irregolari sul territorio del paese balcanico. Ma anche ieri, la leader del governo ha fatto capire che la sua principale preoccupazione è disinnescare gli argomenti dell'opposizione (e di parte di Fi) contro l'Autonomia, che per il momento sembrano fare breccia, come dimostra il successo della raccolta delle firme per il referendum abrogativo: «pensate ai dati che ci arrivano dal rapporto Svimez sulla crescita del Pil nel Sud, che nel 2023 è cresciuto più della media nazionale, cosa che non accadeva dal 2015, di quasi mezzo punto percentuale.

Dato che contrasta con la narrazione, distorta, della sinistra che ci dipinge come nemici del Mezzogiorno, che vogliono umiliare il Sud e spaccare l'Italia con l'autonomia differenziata». Come da copione, infine, è arrivata la designazione ufficiale di Raffaele Fitto a candidato italiano per la carica di commissario Ue. Meloni ha informato della scelta anche i leader dei partiti di minoranza, con l'auspicio che i loro partiti lo sostengano a Strasburgo.