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Giorgia Meloni, presidente del Consiglio dei Ministri
Il caso non è chiuso e lo sanno tutti, probabilmente lo sa anche la diretta interessata, Daniela Santanchè. A conti fatti il passaggio in aula si è rivelato un autogol. L'accorata invettiva della ministra contro gli agguati della magistratura e della stampa non hanno fatto presa. La sensazione generale è che se Daniela Santanchè non sapeva di essere indagata era perché non voleva saperlo. Impossibile essere tenuti all'oscuro di un'indagine in corso da 8 mesi. Certo, l'indagata può sostenere di non essere stata raggiunta da avvisi di garanzia, ma in questi casi è la norma. Può denunciare l'agguato e in effetti la pubblicazione della notizia dell'indagine a ridosso del dibattito in aula è un colpo basso, ma nulla più di questo.
Peggio: l'autodifesa è stata in larghissima parte incomprensibile per il colto, al secolo i parlamentari, e tanto più per l'inclita, i comuni spettatori. Ma i punti in cui gli interrogativi erano invece chiari e semplici sono proprio quelli nei quali lo scudo della “imprenditrice” si è dimostrato più fragile: i lavoratori in azienda nonostante fossero formalmente in cassa integrazione, i debiti con le aziende non saldati, i 2 milioni e passa non restituiti allo Stato. Sia chiaro, è probabile che dopo la tempesta Covid molte aziende si siano trovate in situazioni simili e abbiano fatto salti mortali di dubbia correttezza, ma in questi casi essere o non essere parlamentare e addirittura ministro fa una certa differenza.
Dunque la faccenda resta aperta e rimarrà tale sino a quando, in un modo o nell'altro, Daniela Santanchè non deporrà la veste di ministro. Ma questo è solo uno dei fronti tuttora aperti: non l'unico. Già mercoledì sera, con la premier di ritorno da Varsavia, si moltiplicavano le voci che raccontavano un'irritazione multipla. Sulla questione Santanchè in sé perché Giorgia Meloni non ha alcuna intenzione di permettere che sul suo governo e sulla sua nuova destra si addensino le stesse ombre che hanno gravato per anni su Berlusconi: lo spettro del conflitto di interessi, di un uso personale del ruolo politico, di adoperare a man bassa la menzogna, di comportamenti nella migliore delle ipotesi di dubbia correttezza. Per ora Santanchè è intoccabile perché non la si può dare vinta a quella che l'oratore Balboni, in aula definisce «stampa scandalistica» e all'offensiva soprattutto del M5S. Dopo le vacanze, nel contesto di un rimpasto più vasto che non concentri l'attenzione solo sul caso Santanchè, le cose probabilmente cambieranno e Meloni si sbarazzerà di quella che per lei è ormai solo zavorra.
Ma la premier, dicono, è altrettanto furibonda per la fuga di notizie pilotata che ha reso l'informativa della ministra un calvario e ha modificato all'ultimo momento il quadro costringendo l'indagata, che si era preparata per giorni alla prova, a dover improvvisare. Il conto con la magistratura (e con la stampa) più prima che poi intende saldarlo. È lecito dunque attendersi un nuovo intervento di Nordio, probabilmente molto più drastico dei precedenti e del resto già spesso ventilato. Se la premier, che in fondo non ha mai cavalcato la battaglia sedicente “garantista” quanto gli alleati, è stata tentata dal cercare una tregua con il potere togato, quella tentazione si è in buona parte dissipata ieri. E Palazzo Chigi ha fatto sapere senza utilizzare perifrasi ha fatto circolare una nota di disappunto, anche per l’imputazione coatta disposta dal Gip di Roma per il sottosegretario Delmastro.
C'è però un'altra ferita che il caso della ministra del Turismo, in questo caso tutto interno all'opposizione. La battaglia poteva essere comune e, dopo il primo passo del salario minimo, in vista della strenua resistenza contro l'autonomia differenziata, sarebbe stato un tassello piccolo ma importante. Conte, che in quanto ha spregiudicatezza non è secondo a nessuno, ha scelto invece di forzare da tutti i punti di vista. La trovata della conferenza stampa con le dipendenti rimaste senza Tfr è stato un colpo di teatro ma di quelli riusciti: ha permesso ai 5S di intestarsi più di ogni altro la battaglia per le dimissioni di Santanchè e la forzatura sulla mozione di sfiducia, presentata dal solo Movimento nonostante il parere contrario del Pd, di Avs e di Calenda è stato uno sgambetto in piena regola. Elly Schlein è stata costretta a un inseguimento trafelato, con la decisione di sottoscrivere e votare la mozione dei 5S senza presentarne una propria. Costretta a seguire, come l'intendenza. Il caso mette in chiaro qual è oggi il problema del Pd sul fronte delle alleanze: dei 5S non può fare a meno, ma sapendo che il Movimento non perderà occasione per usare le battaglie comuni contro il Pd stesso.