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Il primo e più importante banco di prova sarà la Legge di Bilancio. Ma intanto il governo Conte2 si predispone a quell’importante cruna dell’ago nelle migliori condizioni possibili: tornando alla continuità con la tradizionale politica europeista, e al proprio ruolo di Paese fondatore. Sperando che la Ue, e segnali già ve ne sono, esca dalla gabbia del rigorismo che sta mandando, tra l’altro, in recessione la Germania.
Nel volgere di 48 ore è cambiato come dalla notte al sole non solo il sentimento che sembra animare il Paese, con un senso di liberazione per l’uscita di scena di Salvini simile all’avvento del loden di Monti dopo Berlusconi, ma anche il volto che l’Italia presenta al mondo. Da laboratorio mondiale del doppio populismo di governo a culla della sua sconfitta, in uno scenario internazionale in cui si affaccia la possibilità che battano in ritirata, di qui alle elezioni americane del 2020, anche gli altri campioni del nazionalismo in versione sovranista, a cominciare da Boris Johnson miseramente finito in minoranza dopo solo 20 giorni a Downing Street.
Se è vero che il primo mattone dell’inversione di marcia italiana fu il via libera alla candidatura di Ursula Von der Lyeen a presiedere la Commissione Ue - un sí già all’epoca più di Conte che di Di Maio, e che incise come un bisturi nelle carni vive del leghismo- adesso l’Italia tende entrambe le mani a Bruxelles. Roberto Gualtieri ministro dell’Economia ( un figlioccio di Napolitano e Macaluso, che si era vociferato fossero entrambi invece favorevoli alle elezioni), Enzo Amendola agli Affari Europei, e soprattutto la candidatura a Commissario di Paolo Gentiloni, un’ex presidente del Consiglio di un Paese fondatore della Ue e che proprio per questo potrebbe spuntare il portafoglio degli Affari economici invece che la “semplice” Concorrenza ( alla quale potrebbe essere invece interessato Macron).
Gentiloni ieri ha incontrato a Bruxelles per un’ora Ursula Von der Leyen. Se andasse davvero all’Economia, finirebbe certo per essere il controllore Ue di Gualtieri. Ma intanto non sarebbe certo una novità, l’ultimo caso è quello degli stessi ruoli per Pierre Moscovici ( che a suo tempo ebbe qualche difficoltà però a superare l’esame del Parlamento proprio perché considerato troppo tenero, durante l’audizione, coi conti pubblici di Parigi) e Bruno Le Maire.
In secondo luogo, il peso interno all’Italia di Gentiloni sarebbe proprio per le ripercussioni delle decisioni Ue, che sono naturalmente collegiali. Il tutto, se la candidatura dell’ex premier italiano fortemente sostenuta da Von der Leyen riuscirà a superare l’opposizione dei paesi rigoristi, naturalmente: altrimenti, dovremo accontentarci della Concorrenza che col governo gialloverde in carica non ci sarebbe mai stata assegnata.
Quanto al presidente del Consiglio Conte, ha un notorio gradimento nelle Cancellerie: costruito sempre a danno della coalizione gialloverde d’un tempo proprio al momento della elezione di Von der Leyen, nutritosi del rapporto con Angela Merkel, e fregiatosi recentemente dell’endorsement a doppio taglio di Donald Trump, che gli ha fatto gli auguri perché a Salvini arrivasse chiaro il messaggio che al presidente USA non piace chi dà sponda al suo carissimo nemico ed ex consigliere Steve Bannon.
L’Italia, forte delle aperture in questo senso sia di Von de Leyen che della prossima presidente della Bce Lagàrde, punta a un cambiamento delle politiche economiche in Europa, e a trovare margini per una manovra espansiva stante anche la situazione di recessione alla quale si affaccia la Germania. Il percorso, così come quel che riguarda le politiche migratorie e la revisione del Trattato di Dublino, non sarà agevole. Ma è possibile. Ed è reso possibile proprio dal nuovo governo italiano. La condizione politica tutt’altro che agevole nella quale è ( miracolosamente) nato, evitando lo spettro di elezioni anticipate che sarebbero avvenute sotto i fucili spianati dai cosiddetti “mercati internazionali”, è del tutto nuova. Il precedente governo gialloverde era guidato da un premier- cuscinetto nella altalenante ma stretta relazione tra due capi politici e vicepremier, Di Maio e Salvini, il vero Giano bifronte di Palazzo Chigi. L’attuale esecutivo - anche per il processo istituzionale da cui è nato - è imperniato invece sul premier, e la relazione politica tra i due partner della coalizione sarà nel rapporto tra i due tessitori della squadra di governo, il Pd Franceschini e il 5S Spadafora. La nuova centralità del presidente del Consiglio, in accordo e in raccordo ovviamente con il Quirinale, è non un’operazione di “trasformismo” come viene semplicisticamente liquidata, ma a ben vedere l’evoluzione di un avvocato prestato alla politica. E un’evoluzione che lascia intravedere, e forse proprio per questo ben sperare anche sulla tenuta e riuscita del governo, la capacità centrale di Conte: il tessere alleanze. In Europa come in Italia. Un tratto che forse deriva dalla formazione gesuitica a Villa Nazareth ( tra i sostenitori più convinti di Conte c’è il direttore di Civiltà Cattolica Antonio Spadaro, vicinissimo a Bergoglio), che si è sviluppato nell’esercizio della professione liberale dialogica per antonomasia, e che è l’elemento che meglio descrive il cambio di passo straordinario che s’è materializzato solo in un paio di giorni: da un governo imbalsamato che si mostrava a muso duro, a un governo che vuol governare. E governare, in patria e all’estero, vuol dire proprio dialogare. In gioco nel medio periodo c’è la transizione a forza politica consapevole del populismo movimentista, e il tramonto nella riduzione alla sua originaria radicalizzazione del populismo sovranista di destra estrema ( perché è così che lo ha disegnato Salvini nei suoi 14 mesi al governo). Sempre che tutto, sia pure affrontando i marosi, permetta di tenere barra dritta e sguardo alla meta: l’elezione del prossimo presidente della Repubblica. Per arrivare alla quale, urgono intanto intese politiche parallele a quella di governo per le elezioni in Emilia e Romagna, e pure in Umbria.