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In un sistema tripolare, dov’è chiaro chi ha perduto ma è anche chiaro che nessuno ha vinto perché al massimo ha migliorato le proprie posizioni ( lezione Mattarella) diventa decisivo l’intreccio tra situazione di fatto, reali rapporti di forza e manovra politica. Un intreccio che nella storia della Repubblica è stato sempre affrontato attraverso il Veto, istituzione fondamentale della politica italiana nata nel 1948 e mai tramontata.
La situazione di fatto è che non è facile sciogliere il Parlamento licenziando mille persone convinte di avere risolto per sempre i problemi della propria vita. Da qui le rassicurazioni riservatissime di queste ore a ogni singolo parlamentare 5s: saranno ricandidati e rieletti derogando dalle due legislature ( rassicurazione che in realtà hanno impaurito e messo in guardia). In più, se il Parlamento non si scioglie le manovre della speculazione internazionale si restringono. Gioca poi la ( quasi) certezza che nuove elezioni riprodurrebbero l’identica situazione. E tuttavia la certezza che non si andrà al voto non ce l’ha e non può darla nessuno.
I rapporti di forza sono evidenti e i ( quasi) vincenti) li leggono a proprio favore. Di Maio avverte che è primo e tocca a lui scelto “dal 32% degli italiani” ( in realtà, 25) guidare il governo. Salvini lo corregge con energia: è lui il leader dello schieramento più forte col 37%. Il Pd perdente avverte di non voler fare accordi con nessuno e promette che farà opposizione con le proprie proposte.
Salvini fa scattare il Veto. Non può accettare che il centro destra venga spezzato con l’espianto di Berlusconi come vorrebbe Di Maio per modificare i rapporti di forza che si sono determinati. Per lui significherebbe unire la propria roba ( 16%) al 32 dei 5s. Cioè pesare la metà del capo e con- segnare ai 5s il futuro del centro destra e suo. Salvini però non è tanto sprovveduto da tirar fuori l’argomento. Ricorre al Veto, invece, contro qualsiasi contatto di governo tra centro destra ( tutto) e il Pd. Blocca qualsiasi manovra di Berlusconi ( neanche lui può rompere il centro destra) e soprattutto toglie ai 5s la possibilità di utilizzare oltre al forno del centro destra quello del Pd. E’ per questo che lo ha schiaffeggiato nelle votazioni per i vertici delle Camere.
Quando s’è delineato questo scenario nei giorni scorsi Berlusconi ha subito aperto ai 5s spingendosi a dire che non gli sarebbe dispiaciuto fare il ministro degli esteri di un governo del centro destra insieme ai 5s. In quelle ore Salvini, per conto del centro destra, dopo qualche incomprensione con Berlusconi, ha regalato la presidenza della Camera a Di Maio che col 32% i 5s non avrebbe mai potuto ottenere. Nessuna indignazione di Di Maio o dei 5s che anzi, tutti e nessuno escluso, hanno disciplinatamente votato come presidente del Senato – la seconda carica della Repubblica dopo Mattarella - la più fedele berlusconiana del gruppo in Senato.
Ma dopo avere incassato Fico alla Camera Di Maio ha subito capito che qualcosa non andava. Il Veto Salvini, che prefigurava un’alleanza con l’intero centro destra, Berlusconi compreso, era assolutamente inaccettabile per i maggiori sponsor del M5s a partire dallo spin doctor Marco Travaglio e a seguire, degradando, dalla 7 a uno stuolo di grandi giornali. Come uscirne? Ovviamente con un nuovo Veto questa volta dei 5s contro Berlusconi e Fi e col tentativo di recuperare, per indebolire Salvini, un qualche rapporto con la sinistra del Pd. Un’operazione rischiosa perché proponeva un contro Veto a Salvini che, in ogni caso, Di Maio ha tentato di addolcire sostenendo che il M5s avrebbe potuto indifferentemente fare il governo col Pd o col centro destra senza Berlusconi, non secondo accordi programmatici ma in base a un contratto predefinito sulla cose da fare. Dev’essere stato a questo punto che Di Maio s’è preoccupato di assicurare ogni neoeletto che ( se le cose fossero andate male) avrebbe assicurato a tutti la rielezione in Parlamento. Ma il Veto dei 5s contro Berlusconi, piaccia o no, apre un altro preoccupante scenario sul futuro prossimo del paese perché sembra escludere qualsiasi possibilità di accordo anche per un governo di scopo per cambiare legge elettorale e tornare al voto con la speranza di dar vita a un governo stabile per il paese. Il Veto contro il Cavaliere è insieme un Veto contro l’assegnazione di un possibile premio di maggioranza a una coalizione anziché a un partito. Insomma, tarpa le ali al centro destra. In quell’area politica il tempo gioca a favore di Salvini. Ma la cannibalizzazione di Fi in nessun caso sarà totale e potrebbe togliere ai leader della Lega proprio i voti necessari a vincere, una fettina che in nessun caso riuscirebbe ad avere contro la parte moderata del centro destra.
Ma anche Renzi non scherza a Veti: l’ex presidente del Consiglio è certo che i suoi avversari vogliano usare il Pd e le sue rotture interne come strumento di ricatto tra i vincenti. La stessa ammissione di Di Maio che potrebbe fare accordi o col Pd o con la Lega viene letta non come apertura a Renzi ma come minaccia a Salvini. Rafforza i convincimenti del Pd la circostanza che un governo tra 5s e Pd, oltre a porre questioni politici sarebbe un governo risicato e sempre sotto ricatto per la scarsezza dei numeri al senato.
Mattarella ha detto che serve tempo. E i Veti nella storia d’Italia sono prima o poi sempre saltati ( spesso prima di quanto fosse legittimo immaginare). Ma non sarà facile né, nonostante quel che si scrive, si riuscirà a fare presto ( se ci si riuscirà).