Matteo Renzi può essere criticato per numerose ragioni ma certo non per assenza di lucidità politica e capacità manovriera. Quando era dato per irrilevante, nel 2019, costruì dal nulla un governo “impossibile” come il Conte bis. Quando annunciò l’imminente caduta di quel governo, due anni dopo, qualcuno lo prese per matto e qualcuno, Massimo D’Alema, ironizzò: «Il politico più impopolare d’Italia vuol far cadere il più popolare». Grandi risate ma Conte cadde poco dopo. Insomma, le profezie di Renzi vanno comunque prese sul serio e stavolta la profezia è la crisi del governo Meloni e la fine anticipata della legislatura.

Giova ricordare che se due mesi fa una simile ipotesi sarebbe apparsa un esercizio estremo di fantapolitica, lo stesso ex segretario del Pd ripeteva da mesi che la discesa per Giorgia e il suo governo sarebbe iniziata dopo le Europee. Almeno in questo il vaticinio si è già avverato. Le elezioni del 9 giugno hanno segnato la fine della fase aurea del governo Meloni, la repentina trasformazione del quadro europeo e internazionale da punto di forza in elemento di massima debolezza, il rovesciamento di una situazione che vedeva l’opposizione divisa a fronte di una maggioranza unita nonostante le profonde differenze al proprio interno. Oggi il quadro è diametralmente opposto: il centrosinistra, per volontà degli elettori prima che dei leader ha imboccato irreversibilmente un percorso unitario, le crepe nella maggioranza si sono in poche settimane palesate, allargate, diventate difficilmente gestibili. Ma basta questo per immaginare una possibile crisi di questo governo, cioè una situazione che meno di due mesi fa appariva un miraggio? Il quadro europeo è determinante per molte ragioni. La maggioranza che si è formata in Europa, quella già nota come “Ursula” allargata ai Verdi, ha scelto di tenere la premier italiana ai margini fino a che non farà una scelta di campo precisa, apertamente ostile ai sovranisti, cioè ai due gruppi dei Patrioti e dell’Europa per le nazioni sovrane. Il balletto mediatico sul “commissario pesante” per l’Italia è in realtà poco significativa.

Bruxelles, con il Patto di Stabilità tornato in vigore, meno severo ma anche meno flessibile di prima, e con una procedura d’infrazione in corso ha ben altri strumenti di pressione. La premier un po’ sembra averlo capito. Nel voto sulle presidenze e vicepresidenze di commissione di due giorni fa, per la prima volta i Conservatori hanno partecipato attivamente al “cordone sanitario” contro gli ex alleati, che infatti sono stati completamente esclusi da qualsiasi carica, Lega inclusa. Il cordone, peraltro, è stato imposto da quel Ppe di cui fa parte la terza forza della maggioranza, Fi. Immaginare che una simile situazione in Europa non riverberi in modo destabilizzante sulla maggioranza in Italia sarebbe pco realistico.

Forza Italia infatti scalpita. O meglio scalpitano i suoi proprietari, invaghiti di una prospettiva centrista che Tajani, più concreto e prudente sa non essere oggi a portata di mano. La Lega fibrilla e molto di più fibrillerà se Trump sarà presidente. Ma nessuna di queste spinte centrifughe è tale da provocare un incidente fatale e la tentazione di Giorgia di chiamare le elezioni per domare gli alleati una volta per tutte resterà tale, nelle condizioni date: far saltare il banco ora implicherebbe un rischio elevatissimo per una vittoria che, anche se raggiunta, frutterebbe alla premier pochissimo. Il giorno dopo una vittoria tutt’altro che certa si ritroverebbe nella stessa condizione in cui versa oggi, punto percentuale in più o in meno degli alleati. Dunque è plausibile quello che gli avvelenati ex compagni di strada di Calenda e molti ex Iv ripetono a chiunque abbia voglia di ascoltarli: Renzi sa perfettamente che non c’è alcuna possibilità di elezioni anticipate ma le sbandiera perché sono la sua chiave per entrare a testa alta e senza opposizioni rilevanti nel centrosinistra. Un argomento adoperato al solo di fine di sostanziare e puntellare la sua recente ma drastica svolta unitaria.

È possibile che sia davvero così, forse è probabile. Ma una possibilità reale di precipitazione c’è ed è la sfida referendaria. Negli ultimi giorni la premier ha provato a imbrigliare gli alleati con la minaccia delle elezioni anticipate. Non ci è riuscita per le ragioni già elencate: Salvini e Tajani sanno perfettamente che se facesse davvero una mossa clamorosa del genere la leader di FdI avrebbe moltissimo da perdere e poco da guadagnare. Col premierato la situazione sarebbe opposta: la premier avrebbe tutte le armi per costringere gli alleati alla sottomissione. Ma se le cose stanno così, significa che Giorgia Meloni sta chiedendo agli alleati di fornirle le armi che li trasformeranno in sudditi.

È lecito sospettare che, non apertamente, senza sfidarla in aula, le vittime predestinate cerchino di evitare di andare al macello boicottando discretamente il referendum. Ma se la premier arriverà a temere davvero una trappola del genere, le possibilità di crisi e scioglimento anticipato della legislatura, tra la fine dell’anno prossimo e l’inizio di quello successivo, passeranno da miraggio a possibilità reale.