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ANTONIO TAJANI MINISTRO ESTERI, LA PRESIDENTE DEL CONSIGLIO GIORGIA MELONI, MATTEO SALVINI MINISTRO INFRASTRUTTURE
In genere, in politica, si dice che il periodo più carico di insidie per un esecutivo sia quello autunnale. A questo scorcio di anno corrisponde una serie di scadenze che in genere tende a far salire il tono delle rivendicazioni e, di conseguenza la conflittualità sociale. In parallelo all'impostazione e all'iter parlamentare della manovra di bilancio, infatti, si moltiplicano manifestazioni, proteste di piazza e non di rado occupazioni in stabilimenti e scuole, per reclamare maggiore attenzione e risorse per il proprio comparto.
E' quello che nel gergo ormai consunto degli addetti ai lavori viene regolarmente bollato come “autunno caldo” e nella maggior parte delle volte culmina con una grande manifestazione sindacale nazionale, che accompagna la proclamazione di uno sciopero generale. Per Giorgia Meloni, però, il paradigma sembra leggermente modificato, dato che all'orizzonte ciò che si profila è una primavera ad alta tensione politica. Una tensione, però, che si genera all'interno della maggioranza stessa e non per agenti esterni.
Si tratterà di una navigazione difficile e a forte rischio di incognite, perché ai focolai di dissidio già attivi nel centrodestra, se ne aggiungerà uno dal potenziale verosimilmente più potente degli altri, che sembrava messo tra parentesi ma che, per la volontà della stessa presidente del Consiglio, ha fatto nuovamente capolino nella scena politica.
Si tratta della rinnovata volontà di portare ad approvazione il ddl Casellati sull'elezione diretta del presidente del Consiglio, una riforma che sembrava quasi definitivamente uscita dai radar e che invece è stata rilanciata da Meloni, contestualmente alla celebrazione dell'entrata del suo governo nella top five dei più longevi della storia repubblicana.
Sulle prime, l'uscita della premier aveva colto di sorpresa, poi una serie di elementi hanno contestualizzato la sua mossa, che appare al contempo azzardata e giustificata. E legata a doppio filo all'imminente ritorno nell'agenda politica del dossier che fa paura più di ogni altro alla presidente del Consiglio, sia in termini di possibili ricadute negative nel consenso, sia per il coefficiente di conflittualità già sperimentato mesi addietro all'interno del centrodestra. Si parla dell'autonomia differenziata, rispetto alla quale due diversi pronunciamenti della Consulta hanno, in definitiva, sorriso a Giorgia Meloni, visto che ne hanno rallentato il percorso di applicazione e scongiurato la prospettiva di un referendum abrogativo che avrebbe lacerato la maggioranza e ricompattato l'opposizione.
Il fatto è che la Lega di Matteo Salvini, o meglio la parte di essa storicamente più legata al federalismo e alle istanze del Settentrione (di cui il segretario non fa parte) dopo aver metabolizzato la battuta d'arresto da parte dei giudici costituzionali esige ora di vedere onorato il patto di governo che la riguarda più da vicino. Il ministro Roberto Calderoli, da questo punto di vista, è stato chiarissimo, affermando che andrà avanti nella presentazione della nuova versione della legge comprensiva dei rilievi della Consulta, a prescindere da eventuali lungaggini dei suoi colleghi di governo, laddove l'avvertimento è rivolto in modo implicito agli esponenti di Forza Italia.
Non è un segreto, per usare un eufemismo, che nel partito azzurro le spinte contrarie ad adottare l'autonomia differenziata siano diverse e provenienti da molti dirigenti meridionali (primo fra tutti il governatore calabrese Occhiuto), così come è notorio che il contrasto al ddl Calderoli sia l'unico tema su cui i partiti di opposizione sono concordi, da Azione ad Avs. La premier non ignora, inoltre, che anche in seno al suo elettorato del Centro- Sud lo scetticismo sia presente, tanto che qualche mese fa ha diffuso un video sui social in cui accusava l'opposizione di diffondere allarmismo sulle conseguenze dell'autonomia.
La mossa conseguente fu quella di far approvare in prima lettura il premierato che ora, coerentemente a questo schema, si appresta a ripartire in commissione. Proprio nello stesso periodo in cui il centrodestra dovrà affrontare il nodo delle candidature in alcune regioni, tra cui il famigerato Veneto.