Indietro tutta. Proprio alla vigilia di un viaggio a Washington circondato da aspettative esorbitanti e in buona parte accreditate dallo stesso governo italiano la premier ha ordinato di pigiare sul freno a tavoletta. Nessun incontro storico. Nessuna rappresentanza informale ma pienamente accreditata lo stesso dell'Europa. Solo un incontro bilaterale necessario dopo il cambio della guardia alla Casa Bianca. Se non proprio ordinaria amministrazione neppure qualcosa di troppo distante.

Il repentino e probabilmente votato all'insuccesso cambio di strategia comunicativa si spiega facilmente. Per quanto riguarda la trattativa Europa-Usa i pronostici sono infausti. Il commissario al Commercio Sefcovic, a Washington, è uscito rintronato dall'incontro con gli statunitensi: «Trump non si capisce cosa vuole». In compenso si capisce cosa non vuole: la zona occidentale di libero scambio, senza dazi di sorta, cioè proprio quel che Meloni sperava se non di conquistare almeno di avvicinare di un passetto. In queste condizioni meglio tenere basse, anzi molto basse le attese. Nessuna delusione se l'esito sarà infausto. Tanto di guadagnato se a sorpresa ci saranno notizie positive da riportare a Roma e soprattutto a Bruxelles.

Però anche derubricato a bilaterale il summit è, per dirla con il sottosegretario Fazzolari, «denso di insidie». Trump chiederà l'innalzamento della spesa Nato al 3 o 3,5%. Niente da fare. La premier potrà solo assumere impegni volutamente vaghi, senza precisare né la percentuale promessa né una data per assolvere l'impegno. Una dimostrazione di buona volontà e nulla di più. In compenso il capo del governo italiano dirà che in tempi brevi e anzi brevissimi, quasi certamente già quest'anno, l'Italia raggiungerà almeno il traguardo pattuito una decina d'anni fa, il 2% del Pil all'Alleanza atlantica.

Solo che proprio questa voce in apparenza positiva è per certi versi quella che spaventa di più Palazzo Chigi. L'Italia ha in mente un classico gioco delle tre carte molto all'italiana: contare cioè una parte dei fondi già destinati alle forze dell'ordine e neppure pochi: 5 miliardi su 8. Ma Trump è prima di tutto un mercante. Difficile che si accontenti di trucchi contabili senza reclamare tutti i suoi 8 miliardi di acquisti in armi americane. L'incubo, improbabile ma non del tutto inimmaginabile data la natura poco prevedibile dell'uomo, è che senza garanzie almeno su quel piano il presidente s'imbufalisca. Quello sarebbe il disastro, temuto a Roma anche se considerato molto poco probabile.

Ma anche un ritorno a casa senza poter vantare alcun risultato sarebbe per Meloni una sconfitta cocente. Il prezzo infatti lo pagherebbe in Europa, dove il suo peso specifico precipiterebbe a favore di quello dei falchi capitanati dal bellicoso Macron.

Qualche arma Meloni però ce l'ha. Trump chiederà quasi certamente lo schieramento dell'Italia e dell'Europa al suo fianco nella guerra commerciale contro la Cina. Roma è pronta e lo ha già detto. Bruxelles e Berlino sono di parere opposto. Giorgia insisterà quindi sulla necessità di poter vantare buoni argomenti per allontanare la Ue dalle sirene della partnership con Pechino. Anche solo qualche segnale basterebbe per affermare che la missione non è stata inutile: la promessa di un incontro a breve con la presidente von der Leyen, sul quale la premier italiana insisterà di certo, magari un'apertura sul vertice Usa-Ue che pure Meloni dovrebbe caldeggiare e proporre.

Sul piano dei rapporti bilaterali molto dipenderà da quanto Trump martellerà sull'aumento del contributo per la Nato o almeno sull'effettività del 2% che Giorgia gli assicurerà vicinissimo. Se il dialogo non si infrangerà su quello scoglio, le ipotesi di cooperazione potenzialmente vantaggiose anche per l'Italia sugli armamenti e di investimenti incrociati non dovrebbe essere fuori portata.

Ma al saldo il successo o il fallimento della visita di oggi e dell'incontro con JD Vance di domani a Roma si misurerà solo, come segnalava due giorni fa il Guardian, sul se e sul quanto Giorgia Meloni dimostrerà di trovare anche parziale ascolto da parte dell'amministrazione americana. Se riuscirà a smuovere Trump, anche solo di poco, le sue azioni nell'Unione europea lieviteranno e il riflesso sulla popolarità anche in Italia sarà automatico. Se si dimostrerà invece che per Trump la parola della premier europea a lui più vicino conta poco e niente il colpo sarà in realtà molto più duro di quanto la diretta interessata non ammetterebbe e per le sue ambizioni di giocare un ruolo da protagonista in Europa sarebbe la pietra tombale.