«E ora vi inviterei a rivolgere, tutti insieme, un caloroso “vaff…” ad Antonio Tajani, che vuole regalare la cittadinanza agli immigrati». La folla dei giovani leghisti prorompe in un boato, seguito da un coro calcistico con lo stesso gentile invito lanciato dall’altrettanto giovane oratore. Qualche metro più in là, sempre “in punta di penna”, un piccolo striscione reca la scritta «Tajani scafista», a ribadire il mood della pre-pontida dei giovani sovranisti, che sembrano aver scelto il segretario di Forza Italia come bersaglio prediletto della propria vis polemica. Tanto che Matteo Salvini, una volta arrivato sul posto per il suo saluto, deve precipitosamente correre ai ripari affermando che »«Tajani è un amico», chiedendo scusa per i cori «a nome di cinque scemi». Ma il leader leghista poi dice che «va bene così com'è» e «semmai noi presenteremo un ddl per togliere la cittadinanza a chi commette reati». E affronta il tema tasse, dopo le parole degli scorsi giorni di Giorgetti. «Giorgetti parla a proposito di chi ha patrimoni miliardari, non di chi ha mille euro sul conto corrente – spiega – Lo dirà lui, non interpreto altri, ma ci ho parlato: se qualcuno dovrà pagare di più non saranno gli operai, i pensionati, ma i banchieri».

Prima aveva preso la parola anche un ragazzo americano col cappello da cowboy che perora la causa di Trump e raccoglie un’ovazione. La piccola folla è raccolta nel tendone adiacente al pratone che domani sarà teatro del clou. Sempre accanto alla spianata, le tende dell’accampamento: le vecchie abitudini e le tradizioni formalmente sono salve anche quest'anno, ma nemmeno i militanti più zelanti del Carroccio negano che le liturgie di un tempo nascondano una mutazione genetica del raduno di Pontida. Domani, sul pratone sacro al Carroccio e all’epopea di Alberto da Giussano, che chiamò a raccolta i comuni del Nord Italia contro l'invasore straniero, Salvini spiegherà nuovamente che la minaccia non arriva più dal Sud dello Stivale o dallo stato centralista romano, bensì dal Sud del mondo e dall’Islam.

Gli darà manforte una sorta di dream team del sovranismo internazionale, a partire da colui che negli ultimi mesi ha raccolto il testimone dell'opposizione alla maggioranza che governa a Bruxelles: il premier ungherese Viktor Orban, promotore e catalizzatore del gruppo Ue dei Patrioti, le cui componenti nazionali si stanno producendo in performance talvolta brillanti e talvolta straordinarie nei rispettivi paesi. Con lui, sul palco, altri pezzi da Novanta della destra europea come l'olandese Geert Wilders, il portoghese André Ventura, lo spagnolo Antonio Fuster, portavoce di Vox (il leader Santiago Abascal non se l'è sentita di infliggere questa delusione alla sua amica ed ex-compagna di europartito Giorgia Meloni) ma soprattutto la delegazione della Fpo austriaca, laureatosi primo partito del paese alpino dopo le ultime elezioni. Non ci sarà il leader Herbert Kikl ma la vicepresidente Marlene Swazek, in ogni caso molti dei riflettori saranno puntati sull'intervento di quest'ultima, rappresentante di un partito molto discusso per alcuni richiami al passato, organico ai Patrioti, a differenza dell’Afd tedesca, espulsa per alcune improvvide dichiarazioni di un esponente di punta.

Ma che gli austriaci facciano parte del gruppo dell’eurodestra e i tedeschi no appare come un puro caso, e le mosse della Fpo sono certamente sotto osservazione anche a Parigi, dove Marine Le Pen (che dovrebbe partecipare con un videomessaggio) ha già ottenuto la testa del Generale Vannacci (presente oggi solo in tarda serata), defenestrato dall'ufficio di presidenza del gruppo per le frasi omofobe. Da oltreoceano dovrebbe esserci il saluto dell'ex presidente brasiliano Bolsonaro, e non è caduta la speranza di un segnale dall’entourage di Donald Trump.

Ma sarà anche la Pontida di Salvini, segretario fino a qualche settimana fa in discussione, ma che ora sta blindando la propria leadership facendo leva sul processo Open arms a Palermo e sulla richiesta di condanna a sei anni di reclusione. Gli ultimi weekend hanno fatto registrare una mobilitazione nei gazebo e online a sostegno del vicepremier, con lo slogan “difendere i confini non è reato”. Una campagna che ha raggiunto immediatamente l’abrivio sperato grazie al roboante endorsement di Orban, il quale ha definito Salvini «il nostro eroe» per aver chiuso i porti, e che culminerà il 18 ottobre nel capoluogo siciliano, con la manifestazione a sostegno del vicepremier in concomitanza dell'arringa difensiva dell'avvocato Giulia Bongiorno. I banchetti per firmare sono stati già allestiti, e i militanti stanno anche ricevendo la tessera di soci fondatori del “Comitato per la sicurezza dei confini”. Si parlava di vecchie tradizioni leghiste: una è andata in scena oggi nel tardo pomeriggio, con il raduno dell'organizzazione giovanile del Carroccio e il consueto campeggio sul pratone. A salutarli, oltre ovviamente a Salvini, c'erano il ministro dell'istruzione Valditara e tutto lo stato maggiore del partito, compresa la delegazione governativa.

Un retaggio dell'epoca bossiana, ben lontano però dalle suggestioni celtiche e secessioniste che animavano i giovani leghisti a cavallo del Ventunesimo secolo. Oggi il massimo a cui è lecito aspirare è che il referendum contro l'autonomia differenziata fallisca, che Tajani non si metta di traverso e che la definizione dei Lep arrivi presto. Non esattamente l’ampolla del Dio Po e la cacciata delle orde del Barbarossa.