Prima litigano, poi fanno pace al telefono. Il corteggiamento politico tra Luigi Di Maio e Matteo Salvini prosegue anche alla vigilia delle consultazioni al Colle. E dopo giorni di tensione, ieri i due leader si sono sentiti per definire una strategia comune in tema di cariche parlamentari: la presidenza della Commissione speciale alla Camera andrà alla Lega. Oggi, infatti, i due gruppi «con spirito di collaborazione» voteranno compattamente per il deputato Nicola Molteni, si legge in una nota congiunta. Ma nessuno parli di spartizione di poltrone, l’obiettivo è «rendere operativo il Parlamento al più presto». La motivazione è ammirevole e potrebbe essere utilizzata anche in altre occasioni, soprattutto nel caso in cui a Sergio Mattarella venisse in mente di assegnare un preincarico a qualcuno oggi pomeriggio. I due capi partito ne farebbero volentieri a meno. Ma in questa chiave, il nome di Molteni potrebbe non essere casuale: era sua la proposta di legge sulla legittima difesa e sua la battaglia contro lo sconto di pena per i reati più gravi, entrambe affossate da Forza Italia. Per qualcuno, la scelta inattesa di Salvini ( la Commissione speciale sembrava destinata a Giorgetti) potrebbe essere un segnale di ostilità indirizzato a Berlusconi. Del resto, ricorda a tutti Di Maio, «la Lega di Salvini in Parlamento ha votato il 70 per cento delle volte in maniera diversa da FI. Io non sto chiedendo un parricidio...». La coalizione in realtà già non esiste, è il ragionamento del Movimento, «Berlusconi appartenente a un’epoca politica finita. È Berlusconi a dover avviare la nuova fase cedendo il passo».

E pensare che fino a poche ore prima i grillini continuavano a lanciare messaggi distensivi al Pd. La nuova intesa giallo- verde manda ancora più in crisi i dem, tra cui cominciava ad allargarsi il fronte di quanti ritenevano opportuno rispondere positiviamente agli appelli al dialogo. «La retorica del M5s è dialoghiamo. La pratica è stata un’altra: la sistematica costruzione di intese con il centrodestra per occupare tutti gli spazi operativi delle istituzioni», si sfoga il reggente del partito Maurizio Martina. «Anche in queste ore una telefonata tra Di Maio e Salvini blinda anche la presidenza della commissione Speciale della Camera. Noi non ci siamo tirati fuori, abbiamo partecipato a più riprese a questi confronti. Ci siamo sempre seduti a discutere con M5s e Lega per trovare uno spazio, non è mai accaduto». Per i renziani, l’accordo sulla Commissione speciale è l’ennesima conferma dell’inaffidabilità del Movimento e della necessità di collocare il partito all’opposizione lasciando ai “vincitori” l’onere di trovare una maggioranza. Eppure la politica dei due forni del M5S resta in campo, Salvini non si è ancora affrancato definitivamente da Silvio Berlusconi, «il male assoluto», secondo Alessandro Di Battista, e serve tenere aperta una via d’uscita allo stallo. In serata, è lo stesso Di Maio a rilanciare l’amo ai colleghi democratici. «Ho proposto un contratto al Pd ma non per ricostruire il vecchio apparato di potere», dice a Porta a Porta. «So che c’è un processo di evoluzione interno. Vogliono avviare un rinnovamento». E per capire le possibili affinità di governo, il leader pentastellato annuncia di aver creato «un comitato scientifico sull’analisi dei programmi elettorali di M5S, Lega e Pd».

La minoranza Pd va in crisi. In mattinata Orlando aveva raccolto l’invito al dialogo: «Se i 5 stelle rinunciano alla Lega siamo pronti a discutere. In questa fase a noi conviene prendere una posizione più attiva», si era sbilanciato. Ma chi sperava di bloccare l’asse 5Stelle- Lega esce indebolito dall’ennesimo colpo di scena a pochi giorni dall’assemblea nazionale del 21 in cui si decideranno le sorti del Pd. E mentre i capi corrente giocano a farsi del male, sul gruppo dirigente arriva la “sfiducia” di 500 iscritte, che in un documento puntano il dito contro un partito «sempre più chiuso». Capitanate da Francesca Puglisi, già presidente della commissione contro il Femminicidio del Senato ed ex componente della segreteria, le donne dem accusano un partito che «si trincera in delegazioni e “trattative” di soli uomini». I parlamentari si dicono «stupiti» dai toni usati dalle colleghe. Intanto oggi saliranno al Colle quattro uomini.