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Il ministro della Cultura Alessandro Giuli durante il Question time alla Camera dei deputati
Il giorno dopo le dimissioni del capo di gabinetto del Mic Francesco Spano, in carica per soli 10 giorni, a Palazzo Chigi si tenta di gettare acqua sul fuoco. L'ordine di scuderia partito dalla presidente Meloni e dai suoi collaboratori più stretti è stato quello, per quanto possibile, di smussare gli spigoli più duri e di spostare il focus sull'atteggiamento incoerente dei partiti di opposizione. L'aria che si respira dentro FdI, però, se non è da lunghi coltelli è certamente quella di una quiete imposta, di una serie di tossine e di conflitti interni pronti a riemergere carsicamente alla prossima occasione.
L'episodio clamoroso della lite nei corridoi di Montecitorio tra l'addetta stampa e sorella del ministro della Cultura Alessandro Giuli, Antonella, e il presidente della commissione Cultura Federico Mollicone, hanno promosso al rango di conflitto conclamato ciò che finora apparteneva solamente ai retroscena o ai rumors di Palazzo. E cioè che nel partito della premier, da quando questo è arrivato alla guida del paese come forza di maggioranza relativa, si stanno imponendo le dinamiche che fisiologicamente accompagnano la vita di una formazione alle prese con la gestione di una cospicua fetta di potere: un ribollire di rivalità e di risentimenti.
La dinamica non è differente da altri partiti e altri periodi: ci sono i dirigenti di lungo corso, i “duri e puri” che vogliono incarnare i valori primigeni del movimento, e quelli accusati di essere dei parvenus, avvicinatisi al partito per effetto della fascinazione del potere. E' successo – e sta ancora succedendo – nella Lega con l'arrivo di Vannacci, apertamente osteggiato dall'ala nordista e più identitaria del Carroccio, e ora la ruvida contrapposizione tra guardiani dell'ortodossia e “cani sciolti” si sta impossessando anche di Fratelli d'Italia.
La reazione all'arrivo di Giuli al Collegio Romano, però, è andata oltre, perché ha fatto deflagrare dei rancori compressi. Anche perché l'ex-direttore del Maxxi, per quanto “eretico”, è sempre stato indiscutibilmente un uomo di area, ben visto dalla gran parte della “Fiamma magica” e dallo stesso suo predecessore al Mic, Gennaro Sangiuliano. E' stata, in questo caso, la cacciata di Francesco Gilioli a mettere in moto la macchina dei mal di pancia e delle critiche a mezza bocca o via chat, fino alla defenestrazione del suo sostituto per effetto dell'imminente annuncio di rivelazioni giornalistiche relative all'esistenza di un conflitto d'interesse col suo marito Marco Carnabuci, risalente ai tempi del Maxxi.
Al di là della questione specifica, e dell'indiscutibile avversione della maggior parte di FdI per la figura di Spano, tutta la vicenda restituisce finalmente l'immagine di un partito ben lontano dal monolitismo o dalla coesione che ha sempre voluto veicolare. C'è chi è rimasto lontano dal governo, come il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli che non ha mancato di definire qualche settimana fa Meloni “accentratrice” nel corso di un'intervista, nella quale le ha comunque rinnovato la propria stima. E c'è chi, come Mollicone, ha provocato qualche imbarazzo alla premier, mettendo in discussione la sentenza definitiva sulla strage di Bologna e sulla sua matrice neofascista, rendendosi dunque protagonista per la seconda volta in poco tempo di una turbolenza interna al partito.
Mollicone viene generalmente ritenuto vicino a Rampelli, e secondo più di uno spiffero di Palazzo aveva cullato l'idea di sedere sulla poltrona di Sangiuliano, cosa che però non si è verificata. E chissà che nel clima da ordalia che si prodotto dentro FdI, la sorella del ministro dell'attuale ministro della Cultura non abbia visto in Mollicone una delle manine galeotte che hanno armato la trasmissione Report e la promessa di rivelazioni clamorose sul ministro.
Oggi a Palazzo Chigi hanno concluso che il livello di guardia era stato superato, e sono stati messi in azione gli estintori. Si è partiti proprio da Mollicone, che ha parlato di «pieno sostegno e massima fiducia ad Alessandro Giuli, con cui porteremo avanti il programma di Fdi e del centrodestra nel campo culturale», per poi porgere il ramoscello d'ulivo alla sorella, «un'ottima professionista, con cui ho storici rapporti di stima» e contestare «ricostruzioni completamente infondate».
Per Giovanni Donzelli i due «hanno già fatto pace», mentre la precisazione più pesante appare quella del sottosegretario e braccio destro della premier Fazzolari, a cui è stata attribuita una forte contrarietà alla scelta di Giuli come ministro: «Non c'è nessuno scontro tra me e il ministro Giuli», ha scritto Fazzolari, che ha poi puntato l'indice contro «gli attacchi scomposti che gli sono stati rivolti da quando è diventato ministro sono sconcertanti e fanno ben capire quanti interessi abbia da difendere la sinistra all'interno del ministero della Cultura».
Per ora, dunque, il ministro non è in discussione, contrariamente a quanto asserito dai retroscenisti più quotati, ma su questa asserzione, anche in virtù di ciò che è accaduto al Collegio Romano negli ultimi mesi, gli addetti ai lavori non scommetterebbero somme importanti.