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Aggressioni mediatiche «grottesche e disdicevoli», «gogna come strumento di campagna elettorale», «imbarbarimento del dibattito associato ai temi giudiziari». La lettera con cui Luigi Di Maio si scusa pubblicamente (sul Foglio) con Simone Uggetti - ex sindaco dem di Lodi prima condannato e poi assolto in appello dall’accusa di turbativa d’asta perché “il fatto non sussiste”- non è affatto un atto dovuto, categoria peraltro sconosciuta alla politica. Non è semplicemente un gesto di fair play con l’esponente di un partito un tempo nemico oggi alleato. Nessuna piaggeria e nessuna giravolta. Le parole con cui il ministro degli Esteri riconosce il grave errore commesso nel 2016, quando il M5S lanciò una violentessima campagna mediatica contro un sindaco solo per delegittimare un partito rivale, sono un manifesto politico. Di più, sono un ripensamento radicale, ontologico, di un movimento nato in piazza a ritmo di manette.
Di Maio, quello del «siete il partito di Bibbiano» e dell’impeachment sventolato in faccia a Sergio Mattarella, oggi ripercorre il passato, suo e del suo partito, con occhi diversi. Con gli occhi di chi nel frattempo ha avuto modo di studiare “etica istituzionale” alla prestigiosissima scuola della Farnesina e non teme di proporre all’intero mondo grillino un’autocritica radicale. Con una perentorietà che forse nemmeno Conte si sarebbe potuto permettere. «Con grande franchezza vorrei aprire una riflessione che credo sia opportuno che anche la forza politica di cui faccio parte affronti quanto prima», scrive il ministro degli Esteri, pur dissociandosi dal «cieco garantismo». Il punto è «l'utilizzo della gogna come strumento di campagna elettorale», aggiunge Di Maio, ridisegnando in un sol colpo la storia e il vocabolario pentastellato. E chissà che non sia la volta buona anche per convincere il compagno di partito, Alfonso Bonafede, a rinunciare una volta per tutte a quella riforma pericolosa della prescrizione, che rischia di tenere imputato a vita qualsiasi cittadino. Perché il ministro degli Esteri coglie la palla al balzo per ricordare non solo il caso Uggetti, ma tutte le altre campagne mediatiche lanciate dal Movimento negli anni successivi. «Abbiamo assistito a tanti casi analoghi. "Scandali" in prima pagina, al centro del dibattito nazionale per mesi, chiusi con una assoluzione di cui non c'è traccia quasi da nessuna parte», prosegue l’ex capo politico 5S. «Penso, ancora, al caso Tempa Rossa che coinvolse Federica Guidi, penso ai casi di diversi sindaci italiani, penso al caso Eni».
Di conseguenza, «è giusto che in questa sede io esprima le mie scuse all'ex sindaco di Lodi e rivolga a lui e alla sua famiglia i migliori auguri per l'esito di un caso giudiziario nel quale il dottor Uggetti, con forza, tenacia e dolore è riuscito dopo anni a dimostrare la sua innocenza», conclude Di Maio, cambiando i connotati al suo partito. Tracce del nuovo percorso, anche se poco marcate, in realtà erano già visibili da tempo nel Movimento. Almeno tra coloro che negli anni hanno dovuto sobbarcarsi l’onere dell’amministrazione della cosa pubblica, con conseguenti attenzioni della magistratura. Come la sindaca di Roma Virginia Raggi, che non solo rilancia su Twitter ogni singola parola del collega, ma aveva già chiesto scusa al suo predecessore, Ignazio Marino, per l’aggressività di alcune campagne: «Sono sincera, non rifarei quella cosa con le arance e l'accanimento sugli scontrini».
Certo, strada da fare ne rimane ancora parecchia, come dimostrano le perplessità dei vari Toninelli e Morra davanti alla svolta lanciata da Di Maio. Ma sono tanti i grillini, non solo Conte, a schierarsi senza se e senza ma con l’ex capo politico. E c’è chi, come l’ex vice ministro dello Sviluppo economico, Stefano Buffagni, si spinge pure oltre, proponendo di passare dalle parole ai fatti: «M5S e Pd dovrebbero candidare Simone Uggetti nel collegio di Siena come segnale». Non sarà una rivoluzione ma da oggi il Movimento somiglia a un partito nuovo.