Che l'ipotesi di una maggioranza divisa sulle comunicazioni della premier relative al prossimo Consiglio Ue non fosse mai stata sul tavolo era cosa nota. E infatti i numeri hanno sorriso al centrodestra, che anche ieri al Senato ha presentato un documento unitario. Ciò che è sembrato rilevante, nel primo round della due giorni parlamentare di Giorgia Meloni, sono stati i segnali di apertura verso l'alleato che appariva più riottoso nell'avallare alcuni concetti balenati a Strasburgo la settimana scorsa, in occasione del voto su ReArm Europe, e cioè la Lega di Matteo Salvini. Che alla fine della fiera ha ottenuto, almeno sul piano delle dichiarazioni ufficiali, probabilmente più di quanto si aspettasse. Quanto detto nel corso dell'intervento di Meloni, infatti, è stato da un certo punto di vista più esplicito nel blandire il punto di vista del Carroccio sulla difesa Ue e sulle trattative per la pace in Ucraina, del punto di caduta trovato dagli “sherpa” della maggioranza per il testo della risoluzione comune.

Se quest'ultima, infatti, proprio per evitare fibrillazioni, si era strettamente attenuta ai punti all'ordine del giorno domani e venerdì a Bruxelles, dilungandosi su temi – pur importanti – come la competitività e il contrasto dell'immigrazione illegale, dribblando con eleganza il punto delle spese militari, a voce la presidente del Consiglio non ha concesso aperture solo sulla questione del sostegno italiano all'Ucraina, ribadendo che la Russia è il paese aggressore, ma non si è sbilanciata sul piano Kallas per nuovi armamenti (che ammonterebbe a 40 miliardi) e ha ribadito il netto no alla possibilità di inviare truppe in Ucraina, nel quadro di un impegno unilaterale dei “volenterosi” del Primo Ministro britannico Starmer e del presidente francese Macron.

Ma le “carezze” della premier al suo vice Matteo Salvini non si sono limitate a questo, ma hanno incluso la sottolineatura dell'importanza del ruolo degli Usa e la necessità per l'Europa di non entrare in rotta di collisione con Washington, inaugurando una guerra commerciale a colpi di rappresaglia sui dazi, senza dimenticare l'importanza delle iniziative del presidente Trump per la pace in Ucraina.

La parte che ha sospinto maggiormente i senatori leghisti verso gli applausi convinti a Meloni, però, sono state le parole tiepide e tranquillizzanti sul piano di riarmo presentato qualche giorno fa da Ursula von der Leyen, un piano che non dovrà attingere ai fondi di coesione e che è stato definito “roboante” rispetto alla realtà, come a dire che allo stato si tratta di un qualcosa di poco concreto e definibile. Come ciliegina sulla torta, l'affermazione secondo la quale l'Ue «dovrebbe occuparsi di meno materie e di quelle di cui gli Stati nazionali non possono occuparsi da soli».

Non appena terminato l'intervento della premier, da via Bellerio è giunto un placet tempestivo sotto forma di nota: «Niente truppe italiane», ha scritto la Lega, «in Ucraina e nessuna ipotesi di esercito europeo, nessun taglio ai fondi per lo sviluppo e nessun accenno a un debito comune europeo, massimo sostegno all'impegno di Donald Trump per la pace e investimenti per la sicurezza in Italia. Bene il discorso di Giorgia Meloni che va nella giusta direzione, fortemente auspicata da Matteo Salvini».

«La realtà», ha proseguito la nota, «è più forte di ogni fantasia giornalistica, gli italiani chiedono pace, salute e lavoro, non tagli e tasse per comprare armi e proseguire guerre». Nel corso del dibattito, il leghista Borghi – tra i più intransigenti del suo partito - aveva d'altra parte manifestato la propria convinta soddisfazione, ringraziando peraltro il ministro degli Affari Europei Tommaso Foti per la sua opera di mediazione.

Nessuna manifestazione di insofferenza, da parte di Forza Italia, per la “strategia dell'attenzione” usata da Meloni per la Lega. Al contrario, Antonio Tajani si è compiaciuto per la compattezza della maggioranza, assumendo una posizione pacata e interlocutoria sia sull'esercito comune europeo che sul piano Kallas. Limitandosi a scuotere la testa quando Borghi ha definito il primo “una follia”.