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Per il governo e per la maggioranza sarebbe un errore molto grave, forse fatale, sottovalutare il sinistro scricchiolio che chiunque ha potuto distintamente udire negli ultimi due giorni al Senato. Un decreto legge di importanza in sé limitata, quello che fissa la data delle elezioni regionali e del referendum per i prossimi 20 e 21 settembre, ma dagli effetti deflagranti se non fosse stato convertito entro la giornata di ieri, perché avrebbe avuto effetti retroattivi sulle elezioni già avvenute, ha rischiato forte di naufragare. La richiesta di rinviarlo in commissione, avanzata dal mago leghista dei regolamenti parlamentari Calderoli, non è passata per appena 3 voti e anche un risultato tanto di misura è arrivato solo al termine di una vicenda rocambolesca, con i questori impegnati a guardare fotogramma dopo fotogramma le registrazioni per accertare l'eventuale voto nella “controprova” di senatori assenti nella prima votazione. E anche così, pur se inconfessati ufficialmente, di dubbi ne permangono a mucchi.Poi, caso più unico che raro, un voto di fiducia è stato invalidato per un errore sul numero legale. La votazione ha dovuto essere ripetuta ieri mattina, dopo una nottata passata dai capigruppo al telefono per far tornare i moltissimi senatori che nel frattempo se ne erano tornati nelle loro Regioni, senza alcuna garanzia di farcela e dovendo comunque ricorrere a espedienti vari, come una lettura del verbale della seduta precedente al rallentatore, per dare tempo a quanti più senatori possibile di arrivare in tempo utili per assicurare il numero legale.Il disastro è stato solo sfiorato ma il segnale è da allarme rosso. A determinare la situazione catastrofica è stata una somma di errori e di limiti vari che pesano e peseranno su questa maggioranza. Il governo ha gestito la vicenda con massima superficialità, come se tutto fosse già garantito in partenza, e così ha reso possibile, non ponendo subito la questione di fiducia, l'imboscata di Calderoli, che in queste cose è maestro senza pari. Nella maggioranza si sono sommate defezioni, alcune per malumori legati ai classici giochi di poltrona, ma altre, quelle nel M5S, derivate invece da un dissenso politico di più profonda e radicale natura. Arriva infine al pettine la scelta del governo e direttamente del premier di non cercare, se non a parole, un rapporto più collaborativo con l'opposizione, o con le sue componenti meno rigide, almeno nella fase delle sanitaria e poi economica, a differenza di quanto si è verificato in quasi tutti gli altri Paesi colpiti dal Coronavirus. Tra questi elementi che hanno composto l'esplosiva miscela solo il primo, il pressapochismo del governo, potrebbe essere considerato superabile senza una revisione profonda dei fondamentali, e anche in questo caso fino a un certo punto perché anche il dilettantismo frequente del governo è, a modo suo, un elemento strutturale. Gli altri due però sono ben più impliciti nella natura stessa del governo e della maggioranza. Sia le divisioni interne, con tutto quel che comportano in termini di rischio permanente, sia la necessità di una massima belligeranza con l'opposizione come necessario, e spesso unico, fattore di coesione interna, sono inscritti nel dna di un'alleanza che non riesce a partorire neppure dopo quasi 10 mesi di convivenza qualcosa che somigli a un progetto comune e che costringe quindi il premier a continui e sempre più spericolati esercizi di equilibrismo, arte nella quale del resto è naturalmente dotato.Le 48 ore di passione a palazzo Madama dicono chiaramente che questa modalità non può funzionare ancora a lungo. In questi casi l'incidente grave a un certo punto arriva sempre. La convinzione diffusa tra i politici, a torto o a ragione, che una crisi di governo non implicherebbe lo scioglimento delle camere ma “solo” il formarsi di una nuova maggioranza moltiplica i rischi. Nonostante gli impegni, e probabilmente le sincere intenzioni di Conte, tutti i nodi in sospeso che dovrebbero essere urgentissimi restano aggrovigliati: Mes, Autostrade, Ilva, Alitalia, dl Sicurezza. Casomai se ne aggiungono di nuovi, come l'imbarazzante vicenda della copiosa vendita di armi all'Egitto. Le circostanze eccezionali renderebbero ancora possibile, per la maggioranza, tentare un salto drastico di qualità, trasformarsi da alleanza raccogliticcia in coalizione con un orizzonte comune e, su questa base, cercare un rapporto costruttivo con l'opposizione, come sarebbe possibile solo per una maggioranza dotata almeno di un certo grado di coesione. In caso contrario, una sopravvivenza basata solo sull'eterna “arte di arrangiarsi” non durerà molto.