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Adolfo Urso Copasir
Tenuta a freno per ovvie esigenze diplomatiche, l'irritazione del Copasir e del suo presidente Adolfo Urso è stata negli ultimi giorni comunque palese. Di buone ragioni per essere imbufaliti i parlamentari del Comitato di controllo sui servizi segreti ne hanno sin troppe. Prima di tutto il fatto che il report dei servizi sulla disinformazione filorussa nei media e sui social italiani sia finita nella redazione del Corriere della Sera 48 prima di arrivare alla sua corretta destinazione, il Copasir stesso, secondo una delle più inveterate ma anche peggiori abitudini italiane. Poi il fatto che proprio il Copasir sia stato adoperato come paravento e in ultima analisi anche capro espiatorio. La versione cartacea del quotidiano di via Solferino lasciava capire nel titolo che la fonte erano i servizi di intelligence.
Nella versione online, però, al posto dei servizi figurava il Copasir stesso, che infatti è diventato subito il bersaglio di critiche e polemiche a partire dall'attacco durissimo di Giuseppe Conte contro le "liste di proscrizione". Ma soprattutto il combinato tra la fuga di notizie di un'indagine appena agli inizi e la forma con la quale è stata poi diffusa dal quotidiano milanese falsa completamente l'impostazione del Comitato, che punta a un'indagine conoscitiva e non alla diffusione alla cieca di nomi, in un pastone nel quale chi esprime opinioni critiche ma pienamente legittime finisce accostato a giornalisti russi stipendiati e sospettato di essere a libro paga. Per il Copasir, infine, l'elemento saliente è individuare i metodi sui quali si basa la strategia di disinformazione e condizionamento più che additare colpevoli.
L'incidente però pone quesiti irrisolti: perché una parte dell'apparato di sicurezza ha deciso, dribblando il Copasir, di far uscire una lista con l'inevitabile conseguenza di esercitare un condizionamento sul dissenso, omologato senza mezzi termini a una losca militanza ' putiniana'? E ancora, quanto va messa in relazione la fuga pilotata di notizie con la convocazione dell'ambasciatore russo Razov alla Farnesina. L'ipotesi secondo cui la convocazione sarebbe stata una sorta di "ultimo avvertimento" prima della cacciata di Razov dall'Italia sembra a dir poco improbabile. Non si capisce bene quale sarebbe l'interesse dell'Italia nel diventare il Paese più falco e più impegnato in uno scontro diretto e frontale con la Russia, anche senza contare i rischi di ritorsione sul piano della fornitura di gas. D'altra parte la convocazione aveva certamente il valore di segnale, rincarato dalla scelta inusuale di specificare che la convocazione è stata decisa dal ministro degli Esteri Di Maio "di concerto con palazzo Chigi", cioè con il beneplacito e forse anzi con la spinta diretta di Mario Draghi.
In parte il segnale è certamente destinato a essere recepito dagli alleati occidentali. Sull'Italia grava sin dall'inizio della guerra il sospetto della possibile cedevolezza, derivato in parte da precedenti storici ormai degenerati in pregiudizio, in parte dalle oggettive difficoltà che la crisi internazionale determina in Italia più che in quasi tutti gli altri Paesi occidentali, in parte dal fatto che i primi due partiti della maggioranza siano stati qui molto vicini a Putin. Più o meno obtorto collo l'Italia è dunque destinata ad alzare i toni più degli altri Paesi europei per dimostrare di essere come gli altri Paesi europei, in particolare sul fronte dei media.
Ma il segnale è anche rivolto al fronte interno in particolare, ma non solo, in vista del dibattito parlamentare del 21 giugno. Le forze politiche meno schierate, in particolare Lega e M5S, difficilmente potrebbero non prestare orecchio alle sirene di un'opinione pubblica tiepida verso la politica del governo nella crisi internazionale e contraria all'invio delle armi. La situazione non è ancora a rischio ma se l'ostilità nei confronti dell'impegno italiano crescesse e si radicalizzasse i riflessi sulla tenuta di quelli che a conti fatti sono il primo e il secondo partito della maggioranza sarebbero inevitabili. L'avvertimento è dunque indirizzato a quell'area molto composita, non sempre limpida ma di certo neppure sempre torbida, che soffia sul fuoco del dissenso.
Ma se questo fosse vero e se la fuga di notizie rispondesse a un calcolo strategico, come è possibile e forse probabile, si tratterebbe di una parte dello Stato che si muove all'insaputa di un'altra parte dello Stato stesso, e segnatamente del Parlamento di cui il Copasir, che in questa vicenda è stato ignorato e quasi usato come paravento, è espressione diretta.