Obbligare i club calcistici a istituire un organismo di rappresentanza per i tifosi, che consenta a questi ultimi di dire la propria sulla gestione della società. L'idea è venuta alla Lega circa cinque anni fa, che attraverso l'allora deputato Daniele Belotti fece passare un emendamento alla delega sulla riforma dello sport che prevedeva la creazione in ogni club professionistico di una “Consulta dei tifosi”, con un potere consultivo e non deliberante, ma con diritto di tribuna alle riunioni del Cda.

La norma, trattandosi di un a delega, non è stata ancora applicata, tanto che anche nel dl Milleproroghe dell'anno scorso la sua entrata in vigore è stata rinviata all'anno in corso. Per i parlamentari del Carroccio sarebbe stato questo l'anno buono per la sua introduzione, ma il combinato disposto dell'inchiesta milanese sugli ultrà e la guerra di posizionamento interna alla maggioranza, che sta coinvolgendo Lega a Forza Italia, ha fatto venire allo scoperto il principale avversario di questa ipotesi: il senatore azzurro e presidente della Lazio, Claudio Lotito.

Lunedì sera, nel suo stile, Lotito ha “presidiato” il Transatlantico di Palazzo Madama, con l'intenzione latente di farsi interpellare sui fatti di Milano, ma non per esprimere il proprio parere sull'inchiesta, bensì per scagliarsi contro la norma del Carroccio e annunciare che il suo partito, in commissione, aveva presentato un emendamento al Dl Omnibus per abrogarla definitivamente, senza passare per ulteriori rinvii. La proposta di Fi, poi, non è arrivata al voto per l'opposizione dei senatori leghisti, a partire dal capogruppo Massimiliano Romeo i quali, pur riconoscendo la delicatezza del tema e la gravità delle accuse formulate dai pm del capoluogo lombardo, hanno tenuto il punto e difeso la Consulta dei tifosi.

E' probabile, dunque, che la norma venga ancora una volta rinviata col prossimo Milleproroghe, anche se non è escluso che Forza Italia tenti nuovamente la mossa alla Camera, magari stavolta con l'appoggio dell'opposizione. Intanto Lotito, che oltre alla tenzone politica nei confronti della Lega per conto del suo segretario Tajani, da tempo deve sostenere quella dialettica (almeno si spera rimanga tale) coi tifosi della Lazio che lo contestano apertamente, non vede davvero di buon occhio la possibile entrata dei fan nelle stanze dei bottoni dei club.

Non ha tutti i torti: la ratio della norma, infatti, potrebbe essere positiva, consentendo ai supporter di rendersi conto delle problematiche della gestione di una società professionistica, ma nei fatti – e visti anche gli episodi degli ultimi anni – è difficile pensare che i seggi della Consulta dei tifosi non sarebbero quasi esclusivamente appannaggio delle frange più esasperate (e in quanto tali prepotenti) dei supporter. Difficilmente la legge consentirebbe un'equa rappresentanza tra club, tifo ultrà e tifo spontaneo, lasciando spalancate le porte al più forte.

Ma c'è di più: l'interesse della Lega all'ingresso dei tifosi nelle società è testimoniato anche da un'altra legge, che lo scorso aprile è stata approvata alla Camera e che ora attende di essere esaminata dal Senato. Si tratta del ddl Molinari per l'introduzione dell'azionariato popolare nei club professionistici. Una pratica diffusa da tempo, ad esempio, in Spagna, dove molte sodalizi prestigiosi (a partire da Real Madrid e dal Barcellona) hanno tifosi azionisti e dove l'azionariato popolare ha una lunga tradizione.

Se la proposta Molinari diventasse legge, i tifosi potrebbero partecipare alla gestione delle società attraverso un “Ente di partecipazione popolare sportiva”. In questo caso, la rappresentanza dei tifosi-azionisti dovrà essere garantita dalla dirigenza del club attraverso la nomina di un rappresentante dei supporter nel Cda. Se la quota di azioni detenute dai tifosi dovesse superare il 30 per cento, i tifosi avrebbero il diritto di nominare loro stessi il proprio rappresentante in Cda. Basterebbe dunque una quota minima per stare nel Consiglio, e questo pone degli interrogativi soprattutto per i club più piccoli o delle serie inferiori, ancor più facilmente scalabili o condizionabili da gruppi ultrà.

Se la Consulta dei tifosi (che dovrebbe essere composta da un numero di membri variabili da tre a cinque) o l'obbligo di tifosi in Cda fossero stati già vigenti, avrebbero potuto essere un ulteriore strumento (sommamente efficace) per gli ultrà per far pressione sul club e favorire i propri affari illeciti? L'interrogativo è quanto mai pertinente, e si lega a un'altra questione molto delicata: non è un mistero che molti capi ultrà gestiscano, oltre a ingenti risorse economiche, anche pacchetti di voti. I politici (spesso locali, ma anche nazionali) che hanno beneficiato di questi voti per farsi eleggere, sono disposti a recidere questo legame?