Da Tajani in giù tutta Forza Italia bombarda per ore le agenzie, dopo il traumatico voto sul canone Rai in commissione Bilancio per giurare che non è successo assolutamente niente. Per la verità qualcosina invece è successo. Fi ha votato con l'opposizione contro l'emendamento della Lega, votato anche da FdI sulla conferma per l'anno prossimo del taglio del canone Rai. La maggioranza si è spaccata come un melone. L'emendamento è stato respinto con 12 voti contro 10. L'’opposizione esulta. Elly dà il la: «Maggioranza in frantumi». L'intera opposizione intona il medesimo motivo. «Nessun problema di coesione nella maggioranza. Noi siamo sempre stati contrari al taglio», minimizza Tajani. Tutto il partito azzurro conferma. Gasparri, capo dei senatori forzisti apre l'estintore a tutta forza: «Ma quale problema politico. Avevamo opinioni diverse su un singolo punto». Tutto qui. «Non è stata una prova di forza», si affanna a stemperare anche il relatore in commissione Bilancio Damiani e il coro a seguire di esponenti azzurri è chilometrico. Anche la premier prova a far finta di niente e con tutta l'opposizione che, esagerando ma non di troppo, urla alla dissoluzione finale della maggioranza non potrebbe fare altro. «Sono schermaglie, niente di particolarmente serio», derubrica a baruffa minore quella che è invece una plateale spaccatura della maggioranza Giorgia. Poi la butta in ironia: «Se abbiamo trovato l'accordo in Libano possiamo farlo anche sul canone Rai». L'umore della premier è in realtà meno serafico. Lo testimonia più fedelmente la reazione a caldo fatta partire subito dalle 'fonti' di Chigi: «L'inciampo non giova a nessuno». Una formula in realtà calibrata: nessuna allarme esagerato ma in filigrana si evince chiaramente l'irritazione della presidente.

Meloni è convinta, probabilmente a ragione, che a spiegare l'irrigidimento del partito azzurro valga soprattutto la pressione di Mediaset, che temeva un innalzamento del tetto pubblicitario Rai in conseguenza del taglio del canone anche per il prossimo anno. Ciò rinfocola la diffidenza e l'ira appena dissimulata della premier nei confronti dei Berlusconi ma ha anche, in parte, una valenza rassicurante. La difesa degli interessi dell'azionista di riferimento sono un problema meno grave di una strategia politica guerrigliera impostata dal partito di Tajani. La rassicurazione però è solo parziale.

Prima di tutto perché nei mesi scorsi Piersilvio Berlusconi ha fatto più volte capire di voler avere voce in capitolo non solo quando in ballo c'è l'azienda ma anche sulla politica. Poi perché l'offensiva azzurra non si limita alla spaccatura di ieri e dunque non si può spiegare solo con gli interessi dell'azienda. Fi dà battaglia sull'eventuale uso del Golden Power per frenare la manovra Unicredito su Bpm, lungi dall'essere stata messa da parte nonostante il diniego di Bpm. La stessa Fi si mette di traverso sul terreno dell'autonomia differenziata, con l'obiettivo di vanificare completamente la legge- bandiera della Lega, già ridotta a una scatola quasi vuota dalla sentenza della Corte costituzionale.

Tajani punta i piedi anche sulla sostituzione di Raffaele Fitto. La premier vorrebbe indicare Elisabetta Belloni, già funzionaria di vertice agli Esteri e oggi responsabile del coordinamento e controllo dei servizi segreti a Chigi. Il ministro degli Esteri pretende che invece quella casella vada al suo partito, come riconoscimento concreto del suo aumentato peso specifico soprattutto in relazione a quello della Lega. E' un percorso minato e non c'è minimizzazione che tenga. Non è affatto certo, infatti, che un Salvini già preso a schiaffoni da tutte le parti resti inerte e immobile senza scalciare di brutta di fronte a nuove umiliazioni come quella di ieri.

Non è certo neppure che possa farlo e una eventuale detronizzazione del vicepremier dalla guida della Lega sarebbe per la stabilità del governo un colpo durissimo. Ieri il leader leghista ha evitato di forzare i toni: «Mi dispiace non per la Lega ma per gli italiani. Se quella tassa non sarà tagliata perché Fi non vuole lavoreremo su altri fronti». Subito dopo però lo stesso Salvini ha ordinato la rappresaglia.

L'emendamento dell'azzurro Lotito sulla Sanità in Calabria, sul quale però il governo si era rimesso alla commissione mentre sul canone aveva dato parere positivo, viene bocciato grazie all'astensione dei leghisti. Il pericolo principale è proprio questo: che nella maggioranza si inneschi una disastrosa spirale di agguati e ritorsioni. Solo che più che un rischio, oggi, qulla deriva sembra un'elevata probabilità.