Marco Bellocchio, nel film Buongiorno, notte, immagina Aldo Moro libero per le strade di Roma, al di fuori della prigione in cui era tenuto dalle Brigate rosse. Angelo Picariello, quirinalista di Avvenire, nel suo libro Liberiamo Moro dal caso Moro. L’eredità di un grande statista (San Paolo, 472 pagine), “libera” la figura di Moro dai 55 giorni del suo rapimento, restituendo una visione più completa dello statista: antigiustizialista, giusnaturalista, padre costituente, penalista, uomo di governo, ministro degli Esteri, professore attento ai giovani e ai movimenti di contestazione, uomo di pace, vittima del terrorismo, ispiratore della giustizia riparativa, e profondamente legato alla sua famiglia.

L’idea di approfondire la figura di Aldo Moro oltre il tragico sequestro è stata proposta dallo storico Renato Moro, nipote dello statista, in occasione del centenario della nascita celebrato al Quirinale nel 2016. Questo vero e proprio appello intende liberare Moro dalla prigione brigatista in cui è rimasto confinato nell’immaginario collettivo. «Quasi 62 anni di vita contro 55 giorni. Possono questi ultimi fagocitare tutta una figura e una personalità?» si chiede Picariello, delineando la linea guida del suo lavoro.

Dal libro di Picariello, che nel 2019 aveva già approfondito il tema in Un’azalea in Via Fani. Da Piazza Fontana a oggi: terrorismo, vittime, riscatto e riconciliazione, emerge la complessità di un uomo che ha profondamente segnato il destino dell’Italia. Il suo pensiero, moderno e attuale, sempre teso al bene comune, offre spunti rilevanti per la politica e la società odierne.

Un esempio emblematico del ruolo di Moro sulla scena internazionale è la sua presidenza di turno della Comunità Europea nel 1975, quando contribuì agli Accordi di Helsinki, portando Stati Uniti e Unione Sovietica allo stesso tavolo per discutere di libertà religiosa e non proliferazione degli armamenti. Un’Europa protagonista, ben diversa da quella che oggi fatica a ritagliarsi un ruolo nello scenario internazionale. Come ministro degli Esteri, Moro adottò un’azione di dialogo e confronto, sia come pacificatore dei confini nazionali sia nella ricerca della pace nel mondo, in linea con il Magistero della Chiesa. Posizioni lungimiranti, soprattutto sul Medio Oriente, confermate dal cosiddetto “lodo Moro”, un patto tra i Servizi italiani e i movimenti palestinesi per proteggere l’Italia dagli attentati che insanguinavano i Paesi occidentali a inizio anni Settanta. Le tensioni con il segretario di Stato Usa, Henry Kissinger, che Moro accusava di voler confinare l’Europa in una “dimensione regionale” subalterna, emergono chiaramente dai suoi scritti dalla prigionia.

L’eredità di Moro è profondamente radicata nella Costituzione italiana. Picariello ricorda il ruolo dello statista come relatore della sezione relativa ai “diritti dell’uomo e del cittadino”, documentando con precisione i travagli, gli scontri e il paziente lavoro di mediazione tra le varie anime dei Padri costituenti. La “felice convergenza” dei lavori si trasformò in “feconde divergenze”, ma con lo stesso obiettivo: rinunciando ognuno a qualcosa, il risultato indicò un “destino comune” da perseguire.

Anche come Guardasigilli, Moro mantenne un’attenzione costante alla questione carceraria, sostenendo l’idea guida della rieducazione sancita dall’articolo 27 della Costituzione. Condannava l’ergastolo, definendolo “psicologicamente crudele e disumano”, e visitava le carceri con i suoi studenti, affrontando nei suoi insegnamenti i principi di giustizia, libertà e verità. Negli ultimi giorni da uomo libero, Moro continuò a insegnare la sua visione della pena, considerandola incompatibile con il nostro ordinamento se fosse “meramente afflittiva o vendicativa”. Proprio alla possibile incompatibilità dell’ergastolo con la nostra Costituzione dedicò una delle sue ultime lezioni. Il giorno del rapimento avrebbe dovuto presenziare a una seduta di laurea: il legame con i suoi studenti e con l’insegnamento era per lui fondamentale, al punto che, quando si ventilò la possibilità di eleggerlo Presidente della Repubblica, la principale preoccupazione fu quella di dover rinunciare alla cattedra.

L’attenzione ai giovani si evidenzia nella volontà di dialogo con i leader del Movimento studentesco e nella vicinanza alla nascente Comunione e Liberazione, frequentando le messe dei discepoli di don Giussani a Roma. La Gioventù Studentesca romana, che si riuniva a casa di Maria Pia Corbò (futura moglie di Rocco Buttiglione), attrasse il suo interesse, coinvolgendo figure come Andrea Riccardi e Agostino Giovagnoli, che fonderanno la Comunità di Sant’Egidio.

Giovani accomunati all’inizio dalla stessa sete di giustizia e voglia di cambiare il mondo, ma che intrapresero strade diverse: dalla lotta armata all’impegno sociale e civile, quello che Lucio Brunelli ha paragonato a una sorta di Sliding doors. Picariello fa una ricostruzione precisa dei fatti e dei protagonisti di quel periodo, anche con molti particolari interessanti e gustosi.

Con la stessa precisione ricostruisce il percorso politico di Moro nella Democrazia Cristiana, della quale rivendicherà sempre l’autonomia e il suo carattere non confessionale. Dalla segreteria del partito nel 1959 alle aperture ai socialisti nel congresso del 1962, evidenzia il suo costante impegno per l’unità. Un lavoro, rafforzato dal rapporto privilegiato con Paolo VI, portato avanti fino alla sera prima del rapimento, cercando un equilibrio tra Dc e Pci per sostenere il nascente governo Andreotti.