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«Abbiamo trovato la soluzione per tenere unita la Cgil. Lo voleva questa sala, lo voleva la nostra gente ed il Paese. Ho voluto far di tutto per non rompere Cgil». Vincenzo Colla accetta di fare il vice segretario e impedisce la spaccatura del sindacato più antico della storia italiana: la Cgil. Sarà Maurizio Landini a guidare l’organizzazione nell’epoca del governo del cambiamento. E mentre intorno tutto sfuma, intimorito dal vento sovranista, il sindacato rosso si affida all’ala sinistra per riconquistare la centralità perduta.
Landini, classe 1961, nato nella provincia reggiana, tuta blu nella testa e nel cuore. Oltre che nelle mani, lui, geometra mancato, che a 15 anni abbandona la scuola per contribuire all’economia familiare: apprendista saldatore, sarà la sua prima occupazione. L’adolescente lavoratore Landini scompre subito che per «rappresentare le condizioni di chi lavora e non deve guardare in faccia nessuno». L’impegno a tempo pieno nella Fiom - di cui poi diventerà il capo - è uno sbocco quasi naturale. Nonostante sia cresciuto con la tessera del Pci in tasca, il nuovo segretario della Cgil si vanta in più occasioni di non aver mai letto Marx, come per garantire un approccio non ideologico alla realtà. Anche se i datori di lavoro, nella visione landiniana, continuano a essere dei “padroni” e non dei benefattori. Perché c’è un noi e un loro che non deve mai essere perso di vista in fabbrica. Quel “noi” che fa sfoggiare con disinvoltura una maglietta della salute sotto la camicia persino nei salotti televisivi buoni: il capo dei metalmeccanici ( e da oggi di tutta la Cgil) deve rimanere sempre un metalmeccanico, «operaio dentro», dirà.
Solo così si può affrontare una trattativa con Electrolux, Indesit e Piaggio. O con la Fiat guidata da Sergio Marchionne, nel periodo più aspro della battaglia per sugli stabilimenti di Pomigliano e Mirafiori, e della spaccatura del fronte sindacale con Fim e Uilm. Landini non demorde anche quando tutto sembra perso. E nel 2016 termina il suo mandato in Fiom con il rinnovo del contratto dei metalmeccanici in modo unitario, con Cisl e Uil.
A discapito della sua fama, Landini non è l’uomo dei no, né delle battaglie identitarie. In un primo momento benedice addirittura l’ascesa di Matteo Renzi al Nazareno. La rottamazione non lo spaventa, anzi, il leader metalmeccanico forse pensa di fare qualcosa di simile in Cgil. Il giudizio sul segretario del Pd cambia però radicalmente quando Renzi arriva a Palazzo Chigi e mette in atto una riforma del lavoro contro cui Susanna Camusso proclama lo sciopero generale e fa scendere in piazza tutta l’organizzazione sindacale. Landini si dice pronto a occupare le fabbriche per fermare il Jobs Act. Ma il presidente del consiglio di allora sembra viaggiare sulle ali di un consenso popolare impressionante e l’opposizione solitaria del sindacato non scalfisce affatto il progetto renziano.
E forse anche per questo Landini sembra parecchio tentato dall’esperienza politica. Lo corteggiano in tanti, invocandolo come l’unico messia capace di far uscire la sinistra dalle secche della marginalità. Sono i mesi in cui il sindacalista dà vita a “coalzione sociale”, un progetto politico a cavallo tra il partito e l’associazione che, nonostante le numerose iniziative pubbliche, resta solo un progetto osteggiato da Camusso e dalle altre opposizioni. «Noi collaboriamo con chi può essere utile. Non vedo come possa esserlo Maurizio Landini, che non ha voti in Parlamento e rappresenta un mondo da cui siamo totalmente distanti», dice Luigi Di Maio nel 2015 sull'ipotesi di create un fronte comune fra M5S e coalizione sociale su reddito di cittadinanza e Jobs Act.
Pentastellati e sindacato, del resto, hanno sempre avuto un rapporto conflittuale, viziato probabilmente dall’idea non originalissima del fondatore del Movimento: abolire le organizzazioni dei lavoratori.
Ma i rapporti personali non contano. Landini sa che molti iscritti alla Cgil votano 5Stelle e prova a rapportarsi in modo “laico” al ministro del Lavoro, dando atto Di Maio di aver dato un contributo decisivo affinché si trovasse un accordo tra lavoratori e nuova proprietà di Ilva. «Ha sostenuto le nostre posizioni per far cambiare idea all'azienda», è il commento del neo segretario. Non sarà altrettanto accomodante su decreto dignità ( per la reintroduzione dei voucher) e reddito di cittadinanza ( «uguale al Jobs Act laddove si prevedono incentivi alle imprese» ). Ora toccherà Landini fare da contraltare al governo. Forte questa volta del sostegno di tutto il sindacato più antico del Paese.