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Dov’è Corbyn, gridavano i centomila organizzati da People’s Voice che un mesetto fa sfilavano dal Pall Mall al Parlamento per chiedere un nuovo referendum sulla Brexit. Domanda pertinente: infatti il leader laburista - volto e speranza di milioni di elettori di sinistra che non sanno più a che santo votarsi e volgono lo sguardo oltre Manica: senza molti riscontri, a quanto pare - alla manifestazione non ha partecipato, in omaggio alla sua posizione euroscettica che lo porta ad essere contemporaneamente pro e contro l’uscita dal mercato comune (nella Ue in quanto tale la Gran Bretagna non c’è mai entrata). Atteggiamento che fa venire il mal di testa perfino ai parlamentari Lab e che spinge i milioni di cui sopra (magari non proprio tutti, ma insomma) a domandarsi: ma allora Jeremy cosa vuole?
Anche questa è una domanda pertinente perché, appunto, nella testa di tanti elettori - soprattutto ex - di sinistra, Corbyn, assieme al collega d’Oltreoceano Bernie Sanders, incarna la possibilità di rivincita contro l’ondata destrorsa e sovranista che sembra dilagare nel mondo. Lo fanno come chi coltiva le rose d’inverno: sperando che non abbiamo messo il concime sbagliato.
In effetti Corbyn è un bel problema. Il 12 settembre saranno tre anni dell’elezione a leader del partito laburista, e molti ricordano che il suo primo atto fu partecipare ad un evento di solidarietà verso i rifugiati. Del resto Jeremy è un attivista dei diritti umani fin dai tempi della lotta a favore di Mandela contro l’apartheid e, tutt’altro che casualmente, è eletto a Islington North, in uno dei collegi più multietnici dell’isola. Ergo dovrebbe battersi come un leone contro la Brexit e l’idea, espressa dalla premier May, che d’ora in poi le coste di Dover le vedranno solo manodopera specializzata e acculturata: per il resto, restino a casa loro.
E invece no, non è così. Corbyn è un euroscettico, la sua formazione di sinistra è internazionalista, la sua voglia di strizzare l’occhio alla pancia dei Britons - che sì, sono preoccupati ma in fondo l’Impero e il Commonwealth non erano così male, no? - è forte. Dunque sinistra ok, ma radicale, con una spruzzata di grillismo non superficiale, lontana dalle aspirazioni del riformismo per come si è consolidato nel resto del mondo. E soprattutto lontanissima da Tony Blair, il demone che agli occhi di Jeremy ha svenduto un patrimonio di consensi e di identità per piegarsi alle sirene del globalismo e del capitalismo. Niente di strano perciò che quando l’ex ministro degli Esteri, il ciuffo biondo Boris Johnson, ad un incontro con un gruppo di industriali terrorizzati dalla hard Brexit, cioè un addio senza accordo con il resto del Vecchio continente, sia sbottato con un molto poco oxfordiano Fuck business ( non c’è bisogno di tradurre), gli amici di Jeremy dicono che abbia sogghignato contento: in fondo è la stessa cosa che pensa lui.
I meglio informati sostengono che Corbyn ha una sola ossessione in testa: far cadere il governo conservatore di Theresa May che peraltro non ha più maggioranza alla Camera dei Comuni, e insediarsi al suo posto. Per questo il lunedì i ministri ombra laburisti hanno l’ordine di disertare le sedute in Parlamento per riunirsi ed elaborare il programma del governo che verrà: “Dobbiamo essere pronti ad ogni evenienza”, dicono. Senza ripetere l’errore di Gordon Brown che nel serbatoio mise benzina politica per soli cento giorni. Infatti alcune idee guida sono già pronte e ricalcano le parole d’ordine socialiste d’antan: abolizione dei contratti a zero ore, un programma di costruzioni di case di massa, la nazionalizzazione di alcune industrie chiave ( se è fuck..), il controllo degli affitti è così via. “I piani di governo laburista devono essere popolari e radicali”, è il refrain. Che piacerebbe a Grillo, Di Maio e tantissimo a Roberto Fico ( Di Battista è in viaggio, no?) ed eviterebbe al Garante del MoVimento di andarsi a cercare referenti nel lontano Sud America: in fondo Londra è solo ad un paio d’ore di volo, vuoi mettere?
Già. Peccato però che pochi giorni fa alla Camera di fronte ad un emendamento dei Tories non Brexit che se fosse passato avrebbe mandato il governo May a gambe all’aria e scongiurato l’incubo del no Deal, Corbyn abbia votato contro e l’emendamento sia stato bocciato per soli sei voti. Insomma non sostiene la Brexit ma la facilita, sta all’opposizione ma aiuta il governo, vuole cacciare i Conservatori dal potere ma ne puntella l’intelaiatura numerico- parlamentare. Chi si sorprende, non ha letto la storia: i massimalisti, sotto ogni latitudine, sono durissimi a parole e assai meno nelle opere.
E allora? Beh, l’immaginazione a sinistra non manca: dal ‘ 68 in poi ne è piena. Per cui il gesto di John McTernan non resterà isolato. Lui, blairiano doc e testa d’uovo neolaburista, si è iscritto a Momentum, che come ha ricordato Federico Sarica sul Foglio, “è il movimento radicale che ha conquistato il Labour da sinistra e fatto eleggere Corbyn” contro i “modernizer “, ossia gli ambienti più moderati della sinistra inglese. Beh, e perché? “Perché gli aderenti sono molto più contro la Brexit di Jeremy - spiega McTernan - e io ero stanco di essere considerato un vecchio arnese che dice sempre no”. Insomma quelli di Momentum “partono da domande grandi e giuste, e provano a dare risposte, spesso sbagliate”. È questa la sinistra del Terzo Millennio?