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Insomma quel che si capisce - dopo appelli, aperture, disponibilità, irrigidimenti e le «solite canzoni» (il copyright è di Bersani) - la trattativa sull'Italicum è come il Cavaliere del racconto di Calvino: inesistente. Il perché non deve soprendere. Come sanno tutti, anche in virtù degli strombazzamenti comunicativi di questi mesi, sul referendum il premier si gioca tutto: credibilità, futuro, poltrona/e. Che proprio su un terreno così delicato mostri cedevolezza verso i suoi oppositori, a partire da quelli interni al partito, più che una una eventualità assomiglia ad una chimera. Ma anche la sinistra dem assieme alle opposizioni "ufficiali" grillini e centrodestra, che inveiscono contro la «stumentalità e furbizia» del presidente del Consiglio perché sulla battaglia referendaria fiutano la possibilità di assestare un colpo politicamente devastante, non hanno alcun interesse a concedere aperture di credito o fiducie prive di riscontri concreti ed effettivi da parte di Renzi. Dunque ognuno recita, essendone prigioniero, la parte che il copione gli assegna. E il dialogo, nonostante i toni in molti casi stentorei o magari proprio per questo, resta tra sordi. Ognuno guarda in cagnesco l'altro aspettando il responso delle urne, ben sapendo che se sarà favorevole a Renzi, l'inquilino di palazzo Chigi avrà in mano tutti gli assi, compreso quello elettorale inteso sia come meccanismo di voto che decisione sullo svolgimento delle consultazioni politiche. Se invece dovessero vincere i No, allora l'Italicum sarà l'ultimo dei problemi, considerato che il capo del governo avrà ben altro di cui occuparsi e preoccuparsi. Il risultato è che fino a consultazione popolare ultimata, tutto resterà così com'è.Proprio tutto? Beh, non esattamente. Grattando la vernice della propaganda, si può arrivare a intravedere la venatura che disegna la posta in palio. E che non riguarda la Consulta. Anzi, diciamolo chiaro: la Corte non c'entra nulla, viene tirata per la giacchetta a seconda delle convenienze. Deciderà a ottobre in tutta autonomia, presumibilmente non discostandosi da altre precedenti pronunce. Ma qualunque sarà il verdetto, poi toccherà alla politica intervenire. E così torniamo al discorso di prima.No, il bandolo vero sta altrove. Per tirarlo, bisogna riandare all'intervista rilasciata a Repubblica sabato scorso da Giorgio Napolitano. In un passaggio decisivo, l'ex presidente della Repubblica spiega la necessità di modificare l'Italicum e nota: «Al momento c'è una sola iniziativa sul tappeto, è di esponenti di minoranza del Pd tra i quali Speranza. E' una proposta degna di essere considerata». Ecco, il punto è questo. Se Renzi adottasse - se lo ritenesse anche modificandola - la proposta della minoranza dem, il Pd ritroverebbe compattezza e i problemi sparirebbero d'incanto: il Sì unirebbe tutto il Nazareno e la nuova legge elettorale idem.Al dunque ciò che importa veramente è che il Pd arrivi unito alla prova referendaria. Sta qui, infatti, il nodo scoperto di tutta la faccenda. Al di là di possibili (e magari giustificate) accuse di strumentalità, il nodo politico è forte. Il fatto che il partito-perno del sistema italiano si divida nel passaggio fondamentale della legislatura e offra un volto di lacerazione alle Cancellerie europee è considerato da Napolitano e da un pezzo rilevantissimo dell'establishment nazionale ed internazionale, un vulnus pericolosoinaccettabile. Sia in vista dell'appuntamento con le urne, sia soprattutto per il dopo. Infatti l'incubo già comparso sulla scena mesi fa si va materializzando.Cosa accadrebbe infatti se con una vittoria del Sì un pezzo del Pd venisse spazzato via? Come reagirebbe il popolo di centrosinistra che ha già dato vistosi segnali di sbandamento e di disaffezione? Peggio che mai se dovesse vincere il No. Anche se lasciasse palazzo Chigi ma restasse in sella come segretario, che percorso attenderebbe Renzi alle prese con i suoi oppositori interni del tutto ringalluzziti e, presumibilmente, tentati di depotenziare una volta per tutte l'enfant prodige (o "usurpatore"?) di Rignano sull'Arno?Come prevedeva una delle principali, anche se non scritte, regole della prima repubblica in particolare nel Pci, il compito primo di un segretario deve essere garantire l'unità del partito. Obiettivo rigorosamente perseguito anche da Renzi: solo che che al contrario. Dal momento in cui ha vinto le primarie, infatti, il leader Pd non ha ritenuto di riconoscere nulla alla minoranza e ai suoi oppositori. Poco importa qui stabilire se era giusto o no: fatto sta che il Pd non si è mai stabilizzato. Anzi: l'epicentro delle scosse all'equilibrio politico complessivo è risultato proprio il Nazareno. Le ultime intemerate del premier contro Massimo D'Alema non fanno che gettare sale sulle ferite. Napolitano (ma dietro di lui c'è a folta intellighentija di sinistra) ha provato a dare una soluzione. Ma Renzi non sembra intenda ascoltarlo.