Diceva così Gino Bartali, formidabile ciclista italiano che sgominò la concorrenza prima e dopo l’ultima guerra. Diceva: « L’è tutto da rifare» . Lui scuoteva la testa, era pessimista. Non c’è più bisogno di essere pessimisti per ripetere quella frase. I fatti parlano.

Le elezioni del 4 marzo, a quanto pare, hanno scompigliato tutto. Cioè non solamente hanno terremotato i rapporti di forza tra destra, sinistra e centro, ma hanno fatto saltare per aria tutti e tre gli schieramenti, o - addirittura - tutti e tre i “concetti”. Fin qui - seppure in modo sempre più sfumato abbiamo continuato a ragionare in termini di destra e sinistra. Con una destra più globalista e mercatista, e una sinistra più aperta ai temi della solidarietà e della socializzazione. Ora queste categorie sono diventate quasi inutilizzabili. Per la verità è molto tempo che lo schema non funziona più. Da quando la sinistra, in tutto l’occidente, si è blairizzata - cioè ha seguito le pratiche e le teorie di Tony Blair, capo dei laburisti inglesi - ed ha lasciato che il liberismo entrasse nella propria cassetta degli attrezzi. È tutto da rifare, non esiste più la politica come la conoscevamo

Da ieri però c’è una grossa novità. Non sono più solo le idee e le linee politiche ad essere ballerine e trasversali, ma è diventato ballerino l’intero scacchiere politico. E questa novità è provocata dalla clamorosa rottura nel centrodestra. La fine del centrodestra, in pratica, azzera tutti gli schieramenti politici che - dal 1994 - erano costantemente calibrati sul centrodestra. Cioè si autodefinivano e si autocollocavano, in relazione alla definizione e alla collocazione ( e alla forza) del centrodestra.

Io non so se questa rottura sarà definitiva o se nelle prossime ore ci saranno dei riavvicinamenti. Ho la netta sensazione però che al di là dei fatti contingenti e formali - i due tronconi del centrodestra, che già erano abbastanza in conflitto durante la campagna elettorale, siano ormai irreparabilmente in guerra. Salvini e la sua Lega hanno deciso di pretendere la guida del centrodestra, ma Salvini e la sua Lega non potranno mai rappresentare quella parte del centrodestra - e cioè il centro moderata e borghese, che può accettare i radicalismi e i risvolti reazionari del leghismo solo se temperati da una leadership molto forte, come negli anni è stata quella di Berlusconi. Il risultato elettorale sorprendente, e ora la rivolta del leader della Lega contro il padre e il dominus del centrodestra, cioè contro il cavaliere, mette la parola fine a questa lunga e complessa avventura.

Per il resto lo schieramento politico italiano è del tutto balcanizzato. Il centrosinistra è a pezzi, con due o tre tronconi di Pd che difficilmente si parlano, con Leu piccola e malandata, con un grande punto interrogativo sulle intenzioni future di Renzi, che, comunque, dopo l’emarginazione di D’Alema e Veltroni, è stato l’unico leader di cui la sinistra ha potuto disporre.

E poi ci sono i Cinque Stelle, che fuggono ai tentativi di classificazione classica, e che attualmente sembrano più vicini alla destradestra di Salvini che alla sinistra o al centro di Berlusconi.

Non so, francamente, come questo mosaico impazzito possa ricomporsi, e quando, e come. Conosco invece - credo - quali sono i problemi essenziali che il paese ha di fronte, e sono convinto che se la politica tornerà a fare la politica, in modo serio, responsabile e coraggioso, è intorno a questi problemi di fondo che dovranno riorganizzarsi - e dividersi o riunirsi gli schieramenti, cioè i vari pezzi del puzzle.

Io vedo essenzialmente quattro grandi problemi. Giustizia ( e diritti), mercato ( e Stato), lavoro ( e redditi), sicurezza ( e immigrazione). Dentro, o al di sopra, di questi quattro problemi aleggiano le due categorie supreme di libertà e uguaglianza, che sono la chiave di volta di ogni modernità possibile. Per me i primi due di questi problemi sono immensi, e riguardano comunque l’identità di una forza politica perché la loro soluzione disegna in un modo o in un altro il profilo della futura società. Si tratta di stabilire due cose. La prima è la scelta tra Stato di diritto e Stato etico ( lo abbiamo scritto decine di volte, e resta una questione gigantesca). La seconda è di stabilire se il mercato è la bussola ( e dunque il profitto, l’efficienza, il merito, la produzione) o se il mercato deve sottomettersi alla politica, e dunque anche ad alcuni grandi principi di equità sociale, e deve accettare di pagare un prezzo alla loro soddisfazione. Il problema del lavoro ( che ho segnato come terzo problema) è a sua volta un problema grandissimo, ma può essere risolto soltanto se si trova il modo di bilanciare ricette diverse. Non è una questione identitaria, ma di scelta di politiche sagge sul piano economico e su quello sociale.

La questione della sicurezza e dell’immigrazione, invece, io l’ho sempre considerata una questione costruita in vitro, dai media e da alcune forze politiche. Però è lì sul tappeto ed è difficile sfuggirle. Richiede scelte impegnative: Ius Soli o respingimenti? Armare i cittadini o disarmarli? Aumentare l’accoglienza, accettando l’idea Bergogliana, o invece rifiutarla e far prevalere un punto di vista nazionalista, simile a quello di Trump?

Se ci pensate un attimo, vedete che su questi temi lo schieramento politico si frammenta ancora di più, si scompone, offre risposte che non hanno più niente a che fare con la sinistra e la destra classica.

Allora questo è il punto: sapranno gli attuali partiti riorganizzarsi non sulla base di scelte di leadership, o di organizzazione, ma invece aprendo una grande discussione ideale su questi temi? Se sapranno farlo allora questa crisi sarà una crisi benedetta. Che farà compiere un salto di qualità alla nostra politica. Se invece prevarrà il rifiuto della discussione, e la paura di mettersi sulle spalle esigenze che non portano valanga di consensi, allora la crisi si avvita senza soluzione. Dipenderà molto da cosa sceglieranno di fare ( e da quanto saranno generosi) da una parte i Cinque Stelle ( che conosciamo pochissimo e non sappiamo cosa ci si possa aspettare da loro), dall’altra Berlusconi ( che ha il dovere di passare ora dalla tattica alla strategia) e dall’altra ancora il Pd, che farebbe un grande errore a pensare che può vincere la sua battaglia entrando in un freezer.