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È scontro diplomatico tra Italia e Iran dopo l’incontro tra il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il nuovo ambasciatore di Teheran a Roma, Mohammad Reza Sabouri. Il quale, in risposta alle parole del capo dello Stato che nel colloquio di presentazione delle credenziali del diplomatico aveva espresso la sua «personale indignazione» per la repressione del regime degli Ayatollah, ha spiegato che «la repubblica dell’Iran rispetta i valori umani ma non accetta che altri paesi vogliano imporre la loro cultura» e che «la libertà è uno dei valori dell’Islam».
Mattarella aveva contestato la «brutale repressione delle manifestazioni» così come «le condanne a morte e l’esecuzione di molti dimostranti», sollecitando l’ambasciatore a «rappresentare» alle autorità iraniane «l’urgenza di porre immediatamente fine alle violenze rivolte contro la popolazione». E chiarendo infine che «il rispetto con cui l’Italia guarda ai partner internazionali e ai loro ordinamenti trova un limite invalicabile nei principi della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo».
Parole che Sabouri ha rispedito al mittente, specificando che «in base alla legge iraniana la pena capitale è prevista per i reati più gravi» e che «in relazione alle persone che sono state giustiziate hanno avuto un processo equo e con tutte le garanzie». Aggiungendo poi che «in Iran sono ammesse le manifestazioni pacifiche ma non disordini violenti che sono accettabili».
Ma la risposta di Teheran si scontra con la linea portata avanti non solo dal Quirinale ma anche dal governo italiano, con la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, che più volte ha condannato «con fermezza» la repressione delle proteste in Iran. Posizione ribadita ieri in audizione alle commissioni congiunte Esteri di Camera e Senato dal titolare della Farnesina, Antonio Tajani.
«Abbiamo chiesto a Teheran un vero cambiamento ma nei fatti il segnale richiesto non è arrivato, le autorità continuano nella cieca repressione - ha detto Tajani - Quanto sta succedendo in Iran è inaccettabile e l’Italia continua a chiedere l’immediata cessazione della repressione e la moratoria immediata della pena di morte».
Il ministro degli Esteri ha poi risposto a una affermazione di Laura Boldrini, ex presidente della Camera e deputata Pd, che aveva chiesto di non barattare i diritti umani per il negoziato sul nucleare. «Non vi è alcun baratto tra diritti e dialogo sul nucleare con l'Iran da parte dell’Italia, sono due cose differenti - ha spiegato Tajani - Ma non possiamo dire non parliamo di nucleare, soprattutto finché l’Agenzia internazionale per l’energia atomica punta a controllare cosa accade in Iran». Il numero di due di Forza Italia ha anche detto che il governo «sta lavorando per nuove sanzioni», sottolineando che tali azioni devono essere intraprese a livello europeo.
La linea di governo e Presidenza della Repubblica è stata accolta con favore da Davood Karimi, presidente dell’Associazione dei rifugiati politici iraniani residenti in Italia, che ha scritto a Mattarella esprimendo, a nome delle mamme, papà, figli, mogli e mariti dei caduti, «la gioia immensa» per la ferma e determinata posizione contro le condanne a morte e per la richiesta di fermare le esecuzioni e le violenze in Iran. «Nelle sue parole noi troviamo non solo un Presidente di un Paese, quale l’Italia, solidale ma anche un uomo di casa della grande famiglia iraniana - spiega Karimi - Noi non dimenticheremo mai chi ci è stato vicino nei momenti più bui della nostra storia».
Ma la repressione non si ferma e ieri la giornalista iraniana Nasim Sultan Beigi è stata arrestata all'aeroporto internazionale Imam Khomeini di Teheran mentre cercava di lasciare il paese. Lo ha riferito sua madre, precisando che «hanno spento il suo cellulare quando è andata al gate d’imbarco e, dopo diverse ore, ci ha informato in una rapida telefonata che sarebbe stata arrestata». Successivamente, la madre della giornalista ha dichiarato che le autorità hanno trasferito la figlia in un luogo sconosciuto. I giornalisti arrestati dall’inizio delle forti proteste in seguito alla morte in carcere della giovane Mahsa Amini sono più di 60, e secondo i dati di Reporters sans frontieres l’Iran è diventato il terzo Paese al mondo con il maggior numero di giornalisti detenuti, dopo Cina e Birmania.