Macron, Macron, croce e delizia... Dopo che i rapporti tra il premier italiano e quello francese erano scivolati verso i minimi storici, l’inquilino dell’Eliseo sterza ridichiara la pace almeno su uno dei fronti roventi: quello libico. Sull’altro, la nazionalizzazione e sorpresa di Stx e la conseguente riapertura di fatto di una trattativa a muso duro con Finmeccanica sull’acquisizione dell’azienda navale di Sainte- Nazaire, la strada resta invece tutta in salita. Anche perché, a differenza della Libia, quella è una partita che non prevede il pareggio. Alla fine ci sarà un vincitore e un vinto. Il caso libico è diverso. Lì Macron era davvero inciampato in uno strafalcione da rinvio a settembre con l’annunciata decisione di costruire hotspot fancesi in Libia. Qualcuno deve averglielo fatto notare a stretto giro, giovedì pomeriggio, tanto che già in serata l’Eliseo smentiva e correggeva. Ma no, ma quale Libia! S’intendevano i confini libici col Ciad e il Niger, dove le truppe francesi già stanziano, mica le coste. Sono seguiti chiarimenti su chiarimenti, anche a viva voce, tra Macron e Gentiloni, su chiamata telefonica del primo, e poi con una dichiarazione dell’Eliseo all’italiana Ansa: «La Francia non vuole emarginare nessun partner europeo e in particolare l’Italia». Retromarcia su tutta la linea, con tanto di vertice a fine agosto proposto direttamen- te dal presidente francese a quello italiano nella telefonata delle scuse: «Vediamoci io, te Angela e Mariano». Si allude alla Merkel e a Rajoy, ma all’incontro il francese vorrebbe invitare anche i capi di Stato del Niger e del Ciad.

Il particolare non è irrilevante. Il rampante di Parigi continua a scalpitare e a immaginare una soluzione della crisi dei migranti in partenza dalla Libia che porti la sua firma e lo incoroni uomo chiave della diplomazia europea. Però nel giro di pochi giorni ha dovuto rendersi conto di quanto l’impazienza di salire sul podio possa essere una pessima consigliera. La “pace” tra il leader della Tripolitania al- Serraj e il generale Haftar, che impera sulla Cirenaica è durata pochi giorni. A due giorni dallo “storico” incontro di martedì a Parigi i due hanno ripreso allegramente a insultarsi. La richiesta di appoggio navale avanzata da Serraj all’Italia il giorno dopo il meeeting parigino aveva già rivelato a botta calda che una soluzione “alla francese” restava una chimera.

Le cose si sono complicate un po’ ieri, dopo che la decisione di inviare le navi era già stata assunta ufficialmente dal governo italiano e poco prima che la delibera venisse votata. Prima Serraj ha negato di aver mai richiesto le navi italiane, evidentemente in seguito a problemi seri in patria. Poi ha invece confermato la richiesta, ma solo come “supporto logistico e tecnico alla Guardia costiera libica”. Certo, questo potrebbe richiedere l’intervento di alcun unità navali italiane però «non sarà autorizzato alcun intervento senza permesso» e la sovranità della Libia resta “la linea rossa”.

Con una giunta di Tripoli evidentemente divisa e regole di ingaggio di conseguenza necessariamente ambigue, di margini per incidenti di ogni tipo ce ne sono a volontà. Però, almeno sul fronte dei rapporti tra Italia e Francia, la marcia indietro di Macron è netta e indiscutibile.

Tutt’altra situazione per quanto riguarda i cantieri di Sainte- Nazaire. Anche di quello hanno parlato al telefono Macron e Gentiloni, ma senza risolvere niente. Gli italiani sono indignati, ma la carta su cui Padoan e Calenda contavano per vincere la partita a tavolino probabilmente non sarà a loro disposizione. Era l’intervento della Commissione europea, che potrebbe censurare la nazionalizzazione francese in quanto “aiuto di Stato”. Per ora Bruxelles prende tempo, ma le indiscrezioni dicono che quell’intervento salvifico non ci sarà. Gli italiani tirano giù paragoni tra la felloneria d’Oltralpe e la specchiata lealtà italica quando di mezzo c’erano Tim e Vivendi. I ministri italiani hanno definito per tempo la mossa francese «grave e incomprensibile». Padoan su Le Monde di ieri parlava di “inaccettabile mancanza di fiducia nei confronti dei partner italiani”. Orlando ruggisce e avverte che «l’Italia reagirà e darà il giusto segnale per evitare abusi e arbitrii». I francesi fingono di pigolare e giurano che la nazionalizzazione era solo un passo obbligato dalla ferocia del calendario, finalizzato solo a concludere la trattativa con gli chers amis italiani.

Sono chiacchiere dall’una come dall’altra parte. La mossa francese tutto è tranne che incomprensibile e la posta in gioco è secca: o il controllo passa a Finmeccanica, con il previsto 66.7% del capitale oppurela gestione finisce per restare essenzialmente in mani francesi. Martedì le parti in causa si vedranno a Roma e sullo sfondo resta una questione di valore anche maggiore: la spartizione delle commesse militari di Finmeccanica. Non è affatto escluso che il ricatto di Parigi su Stx miri a chiudere un accordo proprio su quel ben più lucroso fronte.