Si potrebbe parlare di effetto-domino. La vicenda Sangiuliano-Boccia, che ha costretto alle dimissioni il ministro della Cultura, sta innescando una serie di casi politici che evidenziano il rafforzarsi del timore dell'accerchiamento e del complotto, da parte della presidente del Consiglio.

La giornata di lunedì si era conclusa con Meloni che aveva fatto filtrare molto energicamente la propria irritazione nei confronti di Mediaset, dopo che il gruppo di Cologno Monzese aveva appena annunciato l'ospitata dell'imprenditrice campana nella trasmissione di Bianca Berlinguer su Rete 4, prevista in serata e poi saltata. Un “atto ostile” nei suoi confronti, è stata l'espressione – durissima – che Palazzo Chigi ha scelto di veicolare nei confronti degli eredi di Silvio Berlusconi, e questo ha immediatamente contribuito a far riemergere una polemica a distanza tra il capo dell'esecutivo e i vertici di Mediaset, che sembrava sopita. Ma nella mattinata è spuntato un nuovo caso che, per la rilevanza delle parti in causa, ha assunto contorni ancora più delicati del conflitto coi Berlusconi.

Secondo quanto ricostruito in un articolo della Stampa, dalla premier sarebbe partito l'input di rivedere alcune procedure relative al ruolo dell'ispettorato di Ps di Palazzo Chigi, in particolare per il controllo degli accessi all’ascensore e alle stanze della premier e del suo staff, al primo piano. In pratica, l'intento di Meloni, comunicato con un apposito ordine di servizio, sarebbe stato quello di lasciare alla propria scorta l'appannaggio del controllo degli spazi più a ridosso della sua persona, “allontanando” i poliziotti dell'ispettorato, ai quali sarebbe stato tolto, in paericolare, l'incarico di accompagnare in ascensore e di scortare fino alla porta le persone ricevute dalla premier.

Inevitabilmente, la questione si è spostata dal piano amministrativo a quello politico: il capogruppo di Italia Viva al Senato, Enrico Borghi, ha subito annunciato un'interrogazione parlamentare in merito, parlando di “sindrome del bunker”, di cui soffrirebbe Meloni, che a suo avviso «alimenta il complottismo, sempre senza mai fornire riscontri e soprattutto sempre sfuggendo da un confronto doveroso in Parlamento», «Se ha riscontro di pubblici funzionari infedeli», ha proseguito Borghi, «deve fare due cose: venire in Parlamento e dirlo al Paese e poi assumersi la relativa responsabilità segnalandolo alla magistratura, perché ordire ai danni di un potere democratico costituito è un reato e anche grave. Se invece non ha riscontri», ha aggiunto, «eviti questo continuo stillicidio paranoico».

Un'interrogazione, nel frattempo, era stata annunciata anche da Avs, e la vicenda era giunta in aula con gli interventi dei deputati del Pd e del M5s, i quali hanno accusato la premier di non fidarsi della polizia in servizio nella sede del governo. Dopo Borghi, inoltre, era intervenuto direttamente il leader di Iv Matteo Renzi per stigmatizzare la decisione di Meloni.

Una nota del sindacato di polizia Silp-Cgil ha poi confermato l'irritazione degli agenti: «Meloni sul suo piano vorrebbe soltanto la scorta, ma non può essere lei a decidere chi e come deve garantire la propria sicurezza. Si tratta di una cosa gravissima, mai accaduta in questi termini nella storia della nostra Repubblica». E' stato a questo punto che la presidente del Consiglio ha voluto puntualizzare, inviando il suo capo ufficio stampa Fabrizio Alfano dai cronisti, il quale ha smentito categoricamente che gli agenti di polizia siano stati tolti dal primo piano e che sia stato fatto un ordine di servizio in questo senso, ribadendo infine che il dispositivo di sicurezza non è cambiato e che dalla premier si ribadisce la totale fiducia nell'operato dei poliziotti.

Un intervento che, stando a quanto ha potuto verificare direttamente il nostro giornale attraverso fonti interne all'ispettorato di Palazzo Chigi, è stato accolto positivamente e ha contribuito ad allentare la tensione. Il contenzioso, infatti, riguarderebbe non l'affidamento della sicurezza degli uffici della premier al primo piano alla scorta personale di Meloni (che non vi sarebbe in effetti stato), bensì l'abolizione dell'accompagnamento in ascensore e al piano, col conseguente allontanamento degli agenti ad esso dedicati, mai deciso prima. Se nei prossimi giorni, dunque, questo dovesse essere ripristinato, il caso amministrativo sarebbe da ritenersi chiuso, mentre quel che è certo è il nervosismo della presidente del Consiglio, evidentemente convinta che si annidino nelle talpe anche in sua estrema prossimità.

Non certo un buon viatico, in vista di una serie di snodi politici delicati (in primis l'impostazione della manovra di bilancio e i prossimi giri di nomine) che necessiterebbero di un clima più quieto.