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Fino a qualche ora fa, l’unica notizia sulle dimissioni di Claudio Falchi, segretario della Lega a Riace ed eletto in Consiglio comunale nella lista “Riace rinasce, trasparenza e legalità”, guidata dal sindaco Antonio Trifoli, era quella che attribuiva a non meglio precisate “questioni familiari” la sua decisione di lasciare la politica riacese. Questioni che era stato lo stesso Trifoli a confermare, smentendo qualsiasi problema interno alla maggioranza. Ma quelle dimissioni altro non erano se non un tentativo di giocare d’anticipo per nascondere una verità diversa: l’incandidabilità di Falchi a causa di una condanna definitiva per bancarotta fraudolenta. La notizia è arrivata a Riace proprio nel giorno in cui il suo ex sindaco Mimmo Lucano ha potuto rimettere piede nel suo paese, grazie alla revoca del divieto di dimora imposta fino a ieri dal tribunale di Locri per i reati contestati nell’ambito del processo “Xenia”. L’incandidabilità di Falchi, almeno nei corridoi del Comune, non era affatto una novità di ieri. La notizia era stata comunicata al presidente del Consiglio comunale già lo scorso 28 agosto, quanto la Prefettura ha inviato al municipio la nota relativa agli accertamenti sul consigliere. Ed è in quel documento che viene riportata la sentenza di condanna del tribunale di Milano, divenuta irrevocabile il 7 dicembre 2003, a due anni per bancarotta fraudolenta. Il ministero dell’Interno, dunque, con nota del 27 agosto ha confermato la causa di ineleggibilità, come previsto dalla legge 235 del 2012. E da quella comunicazione la Prefettura è partita per invitare il presidente del Consiglio a convocare l’assemblea. Lo scopo, si legge nel documento, era quello di comunicare lo status dell’ormai ex consigliere Falchi all’intero corpo consiliare. Ma così non è stato, tanto che quando Maria Spanò - candidata a sindaco nella lista di Lucano e battuta da Trifoli alle elezioni di maggio - ha chiesto spiegazioni su quella nota, il clima consiliare si è infiammato, tanto da impedirne il prosieguo e, soprattutto, senza che tale comunicazione fosse resa nota alla minoranza. Per evitarne la comunicazione, infatti, Falchi è arrivato all’appuntamento in aula dopo aver rassegnato le proprie dimissioni, decisione comunicata lo stesso 28 agosto. Motivo? “Inderogabili motivi di ordine familiare”, anche se, si specificava ancora nella nota, “con tali dimissioni viene meno la causa di incandidabilità”. Insomma, un tentativo in extremis di non far uscire dal Palazzo la notizia. Senza, però, riuscirci.