«Tanto rumore per nulla». Così Virginia Raggi, con un post sul Blog di Beppe Grillo, commenta le notizie che arrivano dal Tribunale civile di Roma: i giudici hanno rigettato il ricorso presentato dall’avvocato Venerando Monello. Non trova fondamento giuridico l’esposto in cui si chiedeva «l’annullamento della proclamazione del sindaco» e la dichiarazione di «nullità» del Codice di comportamento per i candidati eletti nel M5S sottoscritto dalla prima cittadina e da tutti i consiglieri comunali prima della consultazione elettorale.
Alla base del rigetto da parte del Tribunale civile di Roma, il fatto che non sarebbe l’esposto lo strumento giuridico corretto con cui chiedere la presunta nullità del contratto. Ma soprattutto Monello, secondo i giudici, non era titolato a presentare il ricorso, «in quanto soggetto estraneo al Movimento 5 Stelle».
«Tanto rumore per nulla». Così Virginia Raggi, con un post sul Blog di Beppe Grillo, commenta le notizie che arrivano dal Tribunale civile di Roma: i giudici hanno rigettato il ricorso presentato dall’avvocato Venerando Monello. Non trova fondamento giuridico l’esposto in cui si chiedeva «l’annullamento della proclamazione del sindaco» e la dichiarazione di «nullità» del Codice di comportamento per i candidati eletti nel M5S sottoscritto dalla prima cittadina e da tutti i consiglieri comunali prima della consultazione elettorale. Tutte congetture: per la legge Raggi era eleggibile. «Dopo la batosta elettorale a Roma, il Pd ne subisce un’altra in Tribunale. Il giudice non ha accolto la richiesta con la quale i dem cercavano di ribaltare il risultato delle urne che ha visto il M5S vincere», scrive la prima cittadina. Che poi entra nel merito della questione e attacca a testa bassa: «Speravano di rendere nulla la nostra vittoria, paragonando la stipula del Codice di comportamento del M5S a un accordo di una associazione segreta», prosegue Raggi. «Non sanno più cosa inventare. Il problema è che non riescono ad accettare la sconfitta ed il fatto che stiamo riportando la legalità. Quando abbiamo vinto le elezioni, abbiamo assicurato che avremmo rispettato gli impegni con i cittadini. Questo è lo spirito del M5S. L’impegno l’abbiamo preso con voi e lo rispetteremo sempre».
Ma cosa contestava il ricorso presentato dall’avvocato Venerando Monello? Nel mirino del legale fortemente sostenuto dalla senatrice dem Monica Cirinnà - era finita soprattutto la penale da 150 mila euro che Raggi dovrebbe versare al Movimento in caso di “inadempienze”. La multa prevista, per l’avvocato estensore del ricorso, è solo un escamotage concepito dallo Staff pentastellato per assicurarsi la fedeltà degli eletti, uno strumento per aggirare il dettato costituzionale che vieta esplicitamente il vincolo di mandato. Un modo «per poter scegliere una classe dirigente ciecamente obbediente e senza alcuna agibilità politica», recita il ricorso respinto. «Aderendo e sottoscrivendo il contenuto del Contratto, gli eletti si trovano, infine, in quella, illegittima e medioevale, condizione di quei neo- assunti che firmano una lettera di licenziamento in bianco. Siamo alla presenza di un contratto atipico di caporalato, che fa degli eletti del M5S dei sudditi di Beppe Grillo e della Casaleggio e associati». Il Codice di comportamento, era la convinzione di Monello, «pone in essere un rapporto giuridico trilaterale tra l’associazione MoVimento 5 Stelle, i c. d. Garanti, ovvero Giuseppe Piero Grillo ( detto Beppe) e Gianroberto Casaleggio ( recentemente defunto, ed il cui ruolo è stato assunto dal di lui figlio Davide), coadiuvati da uno staff, ed i candidati ( oggi eletti)». La finalità del Contratto non sarebbe stata solo quella di coordinare l’attività politica degli amministratori locali, «ma quella di coartare la volontà decisionale degli atti politici e amministrativi degli stessi eletti. In sostanza, l’intento che l’associazione MoVimento 5 Stelle ed i c. d. Garanti è quello gestire – nascosti dietro un opaco velo societario - l’amministrazione capitolina, sostituendosi nelle funzioni di carica degli eletti del M5S». Virginia Raggi, era la tesi di Monello, non risponde all’elettorato ma a una società privata.
Alla base del rigetto da parte del Tribunale civile di Roma, il fatto che non sarebbe l’esposto lo strumento giuridico corretto con cui chiedere la presunta nullità del contratto. Non ricorre, inoltre, «alcuna delle ipotesi di ineleggibilità tassativamente previste dalla legge», recita il provvedimento licenziato dal Tribunale. Ma soprattutto Monello, secondo i giudici, non era titolato a presentare il ricorso, «in quanto soggetto estraneo al Movimento 5 Stelle e non sottoscrittore dell’accordo, non è portatore di un concreto interesse ad agire, giacché dalla rimozione del vincolo non potrebbe derivare alcun effetto nella sua sfera giuridica». Di conseguenza, «poiché la domanda di ineleggibilità, nella prospettazione del ricorrente, ha il suo presupposto nella nullità del patto sottoscritto da Virginia Raggi, il rigetto della domanda principale rende ultronea la pronuncia sulla domanda di nullità dell’accordo in questione, non essendo la pronuncia richiesta in ogni caso rilevante ai fini della decisione della lite». Venerando Monello - che nella sentenza viene erroneamente chiamato “Vagabondo Monello” - è anche condannato a pagare le spese legali a tutte le parti citate in giudizio per una spesa complessiva di 12 mila euro.