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MARIO DRAGHI
Costi quel che costi. Sono passati quasi 12 anni dal discorso con cui il 26 luglio 2012 l’allora governatore della Banca centrale europea Mario Draghi salvò l’Euro, garantendo agli investitoti riuniti nella Global Investment Conference di Londra che la Bce avrebbe fatto «tutto ciò che sarebbe stato necessario» per impedire il collasso della moneta unica. «Credetemi, sarà abbastanza», scandì il futuro presidente del Consiglio. Eravamo nel pieno della crisi del debito sovrano, e l’avvio della politica di Quantitative leasing messa in piedi da Draghi ribaltò la situazione in pochi mesi.
Dodici anni dopo, nel pieno di due guerre e appena usciti da una pandemia, il discorso che l’ex governatore di Bankitalia ha tenuto alla cosiddetta Conferenza di alto livello sul pilastro europeo dei diritti sociali a La Hulpe, in Belgio, potrebbe avere lo stesso effetto. Forse non in termini economici, almeno nel breve termine, ma più probabilmente in termini politici. In molti infatti hanno percepito nelle parole di Draghi la disponibilità a scendere in campo. Farsi guida dell’Ue del futuro, con un ruolo da presidente della Commissione o del Consiglio europeo.
«La nostra organizzazione, il processo decisionale e i finanziamenti sono progettati per “il mondo di ieri”: pre-Covid, pre-Ucraina, pre-conflagrazione in Medio Oriente, prima del ritorno della rivalità tra grandi potenze - ha detto Draghi spiegando la sua relazione sulla Concorrenza, ruolo per il quale stato scelto dall’attuale presidente della Commissione, Ursula von der Leyen - Ma abbiamo bisogno di un’UE adatta al mondo di oggi e di domani. E quindi quello che propongo nella relazione che il presidente della Commissione mi ha chiesto di preparare è un cambiamento radicale, perché è ciò di cui abbiamo bisogno».
Draghi analizza le problematiche più stringenti dell’Unione, dai cambiamenti climatici alla politica di Difesa, fino alle nuove tecnologie. «Oggi investiamo meno in tecnologie digitali e avanzate rispetto a Stati Uniti e Cina, anche per la difesa, e abbiamo solo quattro attori tecnologici europei globali tra i primi 50 a livello mondiale - ha spiegato l’ex presidente del Consiglio - Manca una strategia su come proteggere le nostre industrie tradizionali da un terreno di gioco globale ineguale causato da asimmetrie nelle normative, nei sussidi e nelle politiche commerciali».
Insomma, per Draghi l’Ue deve farsi comunità, lasciando da parte gli individualismi e fronteggiando da attore alla pari i grandi colossi come Cina e Stati Uniti. In che modo? «Dobbiamo poter contare su sistemi energetici decarbonizzati e indipendenti; un sistema di difesa integrato e adeguato basato sull’Ue; manifattura nazionale nei settori più innovativi e in rapida crescita; e una posizione di leadership nel deep-tech e nel digitale - ha detto Draghi - Ma poiché i nostri concorrenti si muovono velocemente, dobbiamo anche valutare le priorità: sono necessarie azioni immediate nei settori con la maggiore esposizione alle sfide verdi, digitali e di sicurezza».
Sembrerebbe a pieno titolo un manifesto di una candidatura, che non può essere esplicita per questioni di opportunità politica ma che è ormai sul tavolo di tutte le cancellerie europee, e della quale si parla insistentemente nei palazzi di Bruxelles. E non è mancato, nel finale del discorso di Draghi, un riferimento al passato. «I nostri rivali ci stanno precedendo perché possono agire come un unico paese con un’unica strategia e allineare dietro di essa tutti gli strumenti e le politiche necessarie - ha concluso l’ex presidente della Bce - Se vogliamo eguagliarli, avremo bisogno di un rinnovato partenariato tra gli Stati membri, una ridefinizione della nostra Unione che non sia meno ambiziosa di quella che fecero i Padri Fondatori 70 anni fa con la creazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio».
Un nuovo patto per l’Ue, al quale Draghi sarà presumibilmente spinto dall’intera politica italiana. «Ha i titoli per ambire a ogni ruolo», ha detto il presidente del Senato La Russa, mentre per Matte Renzi «Draghi è più bravo degli altri». Non potrebbe che sostenerlo il Pd, così come Forza Italia, e non si tirerebbe di certo indietro Giorgia Meloni, che se negli scorsi mesi ha flirtato politicamente con von der Leyen, tuttavia non ha mai fatto mancare il sostegno a Draghi in politica estera, pur all’opposizione.
Insomma, il progetto è ormai chiaro: costi quel che costi.