L’attivazione da parte della Germania della clausola di salvaguardia del Patto di stabilità — per liberare spazio fiscale da destinare alle spese militari — ha riaperto una faglia profonda nella maggioranza di governo: da una parte Antonio Tajani, che benedice la scelta di Berlino come «saggia» ; dall'altra Matteo Salvini, che bolla il riarmo europeo come «una follia», trovandosi nuovamente allineato sulle posizioni ultrapacifiste e latentemente ostili alla linea della resistenza ucraina di Giuseppe Conte.

Torna dunque la fotografia di un esecutivo in cui le anime restano divergenti su un tema cruciale come la difesa comune europea. Andando per ordine: la Germania ha ufficialmente chiesto a Bruxelles di poter sforare i vincoli di bilancio Ue per investire nella difesa. Una mossa che, nelle intenzioni della Commissione, dovrebbe essere seguita da altri Stati membri nell'ambito del piano RearmEU, nato per reagire a una «minaccia esterna senza precedenti». Ma a Berlino, dove i sondaggi vedono avanzare l'estrema destra, la decisione rischia di assumere contorni molto più politici che strategici. E l'Italia, chiamata a posizionarsi, mostra tutte le sue contraddizioni.

Tajani, da Valencia ( dove presenzia da oggi al congresso del Ppe), ha definito «saggia» la richiesta tedesca, spiegando che «bisogna scorporare le spese della difesa dal Patto di stabilità» e rivendicando l'impegno dell'Italia a raggiungere il 2% del Pil in investimenti militari, da annunciare al prossimo vertice Nato. È il segnale chiaro di una Forza Italia convintamente atlantista, perfettamente allineata alle nuove priorità di Bruxelles.

Di tutt'altro tono le parole di Matteo Salvini. Da Genova, il leader della Lega ha attaccato frontalmente il progetto di riarmo europeo: «Per me la pace è la priorità. Eserciti europei, missili europei, carri armati europei sono una follia». Nessun euro, ha insistito, «per comprare carri missili a Berlino o a Parigi».

Piuttosto, investire nella sicurezza interna, nell'assunzione di forze dell'ordine italiane, senza cedere a «debiti comuni europei» per armarsi. È un no netto, che suona come un vero e proprio strappo rispetto alla linea ufficiale del governo. Non è un caso che sulle stesse posizioni si sia subito attestato Giuseppe Conte, intento – e non da ieri – a incalzare su questo fronte la segretaria del Pd Elly Schlein, alle prese coi malumori dell'ala riformista del partito, allineata alle posizioni della commissione e del Pse. Il presidente del M5s ha parlato di «gravissima responsabilità storica» del governo Meloni, accusando la maggioranza di avere dato il via libera alla fine dell'Europa della pace «a favore degli estremisti di destra». In un post durissimo su Facebook, Conte ha denunciato la «furba complicità» di Meloni, Tajani e Crosetto, che avrebbero «spinto Bruxelles a consentire maggiori spese per le armi, stracciando gli equilibri costruiti in anni di integrazione europea».

Così Salvini si trova, ancora una volta, a condividere lo stesso registro critico di Conte, più che quello dei suoi alleati. Una convergenza che non è episodica: sulle grandi questioni internazionali — Ucraina, rapporto con Trump, ora la difesa comune europea — il leader leghista si muove sempre più in una logica di concorrenza diretta con l'ex premier, cercando di intercettare quello stesso elettorato stanco della guerra e diffidente verso le presunte derive militariste dell'Ue. La scelta della Germania ha così squarciato ancora il velo su un assunto che Giorgia Meloni fatica a contenere: il centrodestra si divide profondamente sulle scelte strategiche che disegneranno il futuro dell'Europa. E il tema delle spese militari rischia di essere solo il primo banco di prova di una stagione che si preannuncia carica di tensioni.