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Giù le mani dal referendum costituzionale: no allo spacchettamento dei quesiti. Matteo Renzi chiude sullultimo, in ordine di tempo, tentativo di modificare la consultazione popolare di ottobre, anzi di inizio novembre: «Si spacchetta a Natale», ironizza, quando si scartano i regali. Timori di perdere? Qui il premier è ancora più netto. Riprendendo un concetto espresso dopo le amministrative («E un voto di cambiamento, non di protesta»), profetizza: «Gli elettori Cinquestelle voteranno Sì. Invece i loro parlamentari forse No, ma perché sono attaccati poltrona forse No».Detto questo, la domanda è semplice; la risposta invece, come spesso accade in politica, è di tipo multiplo. La domanda è se i toni più morbidi usati da Matteo Renzi sullItalicum - che ci sono e vanno valutati politicamente, non come espressione di una variabilità umorale - corrispondono ad una disponibilità di sostanza per cambiare la legge. In altri termini, si tratta di capire se quel la riforma elettorale è materia del Parlamento, se si trova una maggioranza si proceda, è uno specchietto per le allodole oppure una indicazione concreta.Un primo indizio lo fornisce il cruciale passaggio di mercoledì al Senato, quando si voterà la legge sugli enti locali che per ottenere via libera ha bisogno della maggioranza assoluta: in pratica 161 voti. Come è noto, palazzo Madama per il governo è strutturalmente il terreno più scivoloso. Non solo perchè lì i numeri sono da sempre risicati, ma soprattutto perchè il focolaio massimo di tensione e irritazione è stabilmente collocato tra i senatori e segnatamente nella pattuglia dellNcd. In più stavolta i verdiniani, che hanno subito pesanti attacchi da settori del Pd in quanto lalleanza con loro avrebbe influito sul cattivo risultato amministrativo, stavolta dicono di voler stare alla finestra. Lammorbidimento dei toni e la maggiore souplesse del premier potrebbero dunque rispondere alla logica di voler ammansire i riottosi visti i rischi per la tenuta della maggioranza. Solo che non sempre è la logica a fare da bussola nei passaggi parlamentari: piuttosto il contrario. Meglio fare affidamento alla categoria della convenienza. Perciò cui prodest una crisi oggi, prima del referendum? Ovviamente non a Renzi. Ma neanche ai dissidenti, e forse neppure a tutta lopposizione. I primi, infatti, verrebbero indicati come responsabili di aver aperto una crisi al buio, che al momento farebbe comodo solo ai Cinquestelle. Quanto al centrodestra, forse Salvini (ma fino ad un certo punto) gioirebbe: Berlusconi certamente assai meno. Lex Cav, infatti, è ancora in convalescenza, FI è smarrita e priva di una rotta precisa: una crisi ora produrrebbe più problemi che opportunità. Presumibilmente anche di questo ha parlato Berlusconi con Renato Schifani quando il presidente dei senatori centristi è andato a trovarlo. Frenando - anzi meglio: respingendo - accelerazioni crisaiole che fermentano da quelle parti. Insomma se sgambetto ha da essere, non sarà la legge sugli enti locali a produrlo.E dunque si ritorna al quesito iniziale: dove vanno a parare le nuances aperturiste di Renzi? Messa così, la risposta perde di multiplicità e diventa secca, secchissima: da nessuna parte. Per un motivo in fondo assai semplice, quasi banale: e cioè che tutti i protagonisti della vicenda politica italiana, dal presidente del Consiglio allultimo dei suoi antagonisti sono forzosamente prigionieri del ruolo che si sono assegnati. Modificarlo minaccia di produrre solo svantaggi e incomprensioni; cambiarlo del tutto, diventa impossibile. Inforcato questo paio docchiali, anche tante contorsioni e contraddizioni di quei medesimi protagonisti diventano più leggibili. A partire dai Cinquestelle che sono stati e restano contrari allItalicum, che per primi hanno lanciato lopzione dello spacchettamento dei quesiti referendari e che adesso invece sono i granitici difensori dello statu quo: guai a toccare lItalicum o la scheda della consultazione popolare costituzionale. Per forza: adesso che vedono lo scalpo di Matteo ad un passo, come giustificare un ammansimento delle posizioni? Stesso discorso per i centristi. Hanno votato tutto quel che cera da votare, dalla riforma del Senato alla nuova legge elettorale: su questultima hanno detto sì perfino alla fiducia voluta dal premier. Come mai i dubbi di adesso non furono espressi a suo tempo? Semplice: allora Renzi era sulla cresta dellonda e anche solo sussurrare di possibile crisi era surreale. Ma come potrebbe ora giustificare Ncd un così deciso cambio di rotta e rigettare quel che solo poche settimane fa ha approvato?Stesso ragionamento anche per FI. E stato Berlusconi, poco importa disquisire se a torto o a ragione, a rompere il patto del Nazareno. Con quale credibilità può rivolgersi ora alla sua costituency optando per una giravolta che lo dovrebbe portare a supportare di nuovo Renzi, per di più al fuori dellufficialità?E infine il presidente del Consiglio. Quando il referendum aveva le sembianze di una marcia trionfale con risultato scontato, per linquilino di palazzo Chigi è stato facile personalizzarlo, farlo apparire come una sorta di Rubicone per proiettare lItalia nel terzo millennio. Traguardo da raggiungere innalzando lo stendardo del leader capace di disgregare la zavorra - politica, istituzionale, generazionale - che per decenni ha intralciato il Paese. Adesso che il vento sembra aver cambiato direzione, è impossibile cambiare rotta. Renzi ha messo la fiducia sul referendum, chi piunta a disarcionarlo sa come fare; chi vuole difenderlo anche. E non si scappa. Lidea di giocare sullo stesso terreno dei grillini, con le stesse parole dordine sul taglio delle poltrone o su meno politica, è unarma a doppio taglio che addirittura può finire per avvantaggiare i competitor che si vogliono colpire.La riforma dellItalicum fa parte della medesima partita. Per intenderci: il Pd si farà parte diligente in Parlamento per arrivare ad eventuali modifiche o no? Il primo caso, è Renzi stesso ad escluderlo, al momento. Nel secondo, immaginare di poter procedere a revisioni senza o addirittura contro il maggior partito italiano, con uno schieramento che mette insieme partiti e forze politiche che hanno visioni opposte ma dovrebbero magicamente trovare la quadra proprio sul terreno più delicato, è fantapolitica. Ma se poi il referendum lo perde, Renzi cosa farà? «Non ne parlo più», dice. Che abbia cambiato idea? Può essere. Chi non lha fatto sono i suoi avversari. In caso di sconfitta, non gli daranno tregua.