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Paso doble di Di Maio. Il nemico del mio nemico è mio amico. Potrebbe essere questo il ragionamento che spinge Luigi Di Maio a seppellire l’ascia di guerra con Alessandro Di Battista per isolare politicamente l’unico leader ancora “in attività” in grado di incrinare l’alleanza di governo: Roberto Fico.
Meglio dunque ricooptare il vecchio amico di mille battaglie, assegnandogli un ruolo chiave nel Movimento “del cambiamento” come coordinatore dei del rapporto con i territori in una futura segreteria pentastellata, in cambio della fedeltà anti fichiana.
Il ritorno di Dibba
Il ritorno del “figliol prodigo” è uno degli argomenti più gettonati a mezza bocca tra i parlamentari, anche se non tutti sembrano entusiasti. Le recenti bordate di Dibba contro i ministri diventati «burocrati» non hanno portato fortuna al “Che” in versione grillina, contro cui si è rivoltata buona parte della base parlamentare, stufa di essere messa alla berlina da chi ha scelto di non sporcarsi le mani. Un assist inatteso per Di Maio, che adesso può contrattare la tregua con un antagonista indebolito.
La distensione tra i due si è fatta evidente soprattutto negli ultimi giorni, con un Di Battista particolarmente attivo sui social, schierato a tutela della linea governitiva persino sulla questione migranti.
«“The Sea Watch Show” si è da poco concluso ma statene certi, usciranno presto nuove stagioni. In fondo è stato un successo per tanti e va replicato», scrive su Facebook l’ex deputato il 2 luglio, indirizzando l’aggressività comunicativa verso i nemici esterni, i «taxisti del mare», per dirla alla grillina. «A quanto pare stanno già girando il primo spin- off. Si chiamerà “Carola l’eroina” e ai soliti “giornaloni” foraggiati per anni dai Benetton non pare vero. Sanno già che intere pagine estive saranno dedicate alla raccolta firme per la temeraria Capitana per evitare che a qualcuno venisse in mente di raccogliere firme per far tornare la gestione delle autostrade allo Stato».
Un solo post per certificare il definitivo riallineamento di Di Battista. Attacco alle Ong e alla famiglia Benetton, con cui il capo politico ha ingaggiato un braccio di ferro sulle concessioni autostradali. Musica per le orecchie di Di Maio che adesso può concentrarsi sul fronte interno che davvero lo preoccupa: Fico e i parlamentari “disobbedienti” al suo seguito.
Raffica di espulsioni
In quattro giorni vengono disposte ben tre espulsioni dal gruppo parlamentare ai danni di esponenti riconducibili al presidente della Camera o in sintonia con la sua visione ortodossa del Movimento.
La prima a farne le spese è la senatrice napoletana Paola Nugnes, da sempre considerata fedelissima dell’inquilino di Montecitorio, che poche ore prima aveva già annunciato le sue intenzioni di abbandonare un movimento diventato partito.
Per i vertici pentastellati è la goccia che fa traboccare il vaso dopo i ripetuti comportamenti di insubordinazione registrati al momento del voto su decreto sicurezza e legittima difesa: è fuori e deve lasciare lo scranno, dicono i “dimaiani”.
Un colpo bassissimo per Roberto Fico che si espone: «Paola Nugnes sarà sempre Movimento perché il Movimento è un sentire e niente può cancellare 12 anni di lavoro, progetti, coraggio vissuti insieme», dice il presidente della Camera, in totale disaccordo col vice premier. «Dodici anni di strada percorsa fianco a fianco. Se il Movimento è qui oggi lo si deve anche al tassello messo da Paola e non si può far finta di non vederlo».
Il 2 luglio la stessa sorte tocca ad altre due deputate: Veronica Giannone e Gloria Vizzini. Tecnicamente non sono “fichiane” dichiarate, ma del leader ortodosso condividono integralmente la visione in tema di migranti e organizzazione interna.
«Mi hanno buttata fuori perché ho votato contro il decreto sicurezza e la legittima difesa», spiega al Dubbio Veronica Giannone. Che però confessa un altro peccato di “lesa maestà” che potrebbe avere influito sul suo allontanamento: all’indomani della disfatta alle Europee ha scelto di non partecipare al plebiscito su Rousseau sul destino politico di Di Maio. «Non aveva senso votare su una persona, bisognava metter in discussione tutto il Movimento», spiega la deputata, utilizzando, parole molto simili a quelle pronunciate da Fico il 29 maggio, a urne ancora calde, nel corso di una surreale assemblea parlamentare dedicata all’analisi della sconfitta.
Ed è proprio quella riunione a cambiare le carte in tavola nella mente di Di Maio. Le parole utilizzate pubblicamente dal leader barbuto ( «non lo so più che cos’è questo Movimento» ) diventano una dichiarazione di guerra per il capo politico, che da quel momento sceglie il suo nemico reale. Con Di Battista, a confronto, solo scaramucce infantili.