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La maggioranza degli italiani è scettica o apertamente ostile all'invio di nuove armi all'Ucraina e, più in generale, allo schieramento estremo della Penisola a sostegno di Kiev. La maggioranza degli elettori premia i partiti più decisamente schierati a favore dell'invio delle armi e di un appoggio all'Ucraina sul confine della belligeranza. È il paradosso italiano ed è anche la più minacciosa tra le mine vaganti che potrebbero deflagrare impattando la corazzata del centrodestra.
Sia la maggioranza che il governo sono usciti molto bene dal test delle regionali di domenica scorsa. Non era detto. Il sospiro di sollievo c'è stato tutto. Il risultato della Lega rafforza i vincoli di maggioranza: certo Giorgia dovrà fare i conti con una richiesta di autonomia che diventerà ancora più pressante e reclamerà un modello radicale ma questo era sin dall'inizio il debito contratto dalla premier con Salvini.
L'esito del partito azzurro non è tale da rendere inevitabile lo sganciamento e il flop dei centristi lascia la fronda interna a Fi priva di sponde. Anche da quel punto di vista la presidente si rafforza. L'opposizione in ginocchio era e in ginocchio rimane. L'esito del voto, con il fallimento della doppia Opa ostile sul Pd di Conte da un lato e Calenda dall'altro, dice chiaramente che solo un’alleanza ulivista renderebbe possibile una vittoria nelle urne in tempi non biblici. Ma i partiti che a quell'alleanza dovrebbero dar vita sono impegnati a navigare in direzione opposta. Per correggere la rotta, se mai decideranno di farlo e se ne saranno capaci, ci vorrà parecchio tempo. A Chigi possono dormire sonni tranquilli.
La bomba Berlusconi, quelle dichiarazioni che sono suonate come apertamente putiniane o comunque opposte alla linea filo- Ucraina del governo, è stata almeno in buona parte disinnescata anche grazie a un pronunciamento nettissimo del Ppe sul quale è probabile che abbiano pesato anche le pressioni di palazzo Chigi, cioè della leader di quei conservatori europei sui quali punta per il futuro proprio il Ppe. Isolato in patria, anche se il silenzio di Salvini è eloquente, e in Europa il Cavaliere ha margini di manovra per il momento molto ristretti.
La situazione del governo a fronte dei problemi reali e sui tavoli internazionali è molto diversa, per alcuni versi opposta. L'Italia ha ottenuto una certa flessibilità sul Pnrr, che peraltro resta un problema in sé perché la tradizionale incapacità italiana di spendere i fondi europei si fa sentire tutta. Più di questo non ha strappato e non strapperà, mentre dietro l'angolo si affollano i problemi.
Bisogna trovare modo di rifinanziare i sostegni alla popolazione senza scostamenti di bilancio e nuovo debito e fare i conti con una politica monetaria della Bce, quella dei continui rialzi dei tassi, che mette in difficoltà l'Italia più di chiunque altro. Pende come un spada di Damocle una riscrittura dei trattati europei che potrebbe rivelarsi un grosso guaio e il tifo soprattutto della Francia ma anche della Germania, Paesi di un certo peso, a favore del capitombolo della premier italiana è palese.
Si tratta però di partite ancora tutte aperte, nelle quali l'Italia ritiene di avere comunque carte da giocare e che non necessariamente indeboliranno la popolarità del governo o per meglio dire della leader che lo guida, a tutt'oggi fortissima.
La guerra potrebbe rivelarsi tutt'altro paio di maniche. Probabilmente i sentimenti della maggioranza degli italiani contrari all'impegno bellico o quasi bellico non si riflettono nei voti perché la preoccupazione maggiore non è certo la guerra ma sono i rincari, l'economia quotidiana dei cittadini e delle famiglie. Per il momento il collegamento tra guerra e inflazione, crisi Ucraina e impoverimento degli italiani resta vago, poco avvertito dalla massa della popolazione. Se quel collegamento dovesse scattare, magari in seguito agli eventi oggi non prevedibili sul fronte, le cose cambierebbero.
A quel punto nemmeno il Ppe riuscirebbe a frenare Berlusconi e Salvini uscirebbe dal suo ambiguo silenzio. A quel punto vacillerebbero gli stessi consensi per i partiti più filoatlantisti, come la stessa Giorgia ha apertamente paventato nella conferenza stampa di Berlino, dopo lo schiaffo di Macron, Scholz e Zelensky. A quel punto il guaio, per una leader che sull'atlantismo blindato ha puntato moltissimo, sarebbe enorme.