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Dieci candeline. Sono quelle che oggi potrà spegnere il Movimento 5 Stelle sulla propria torta di compleanno. Un’occasione per guardarsi alle spalle e fare un bilancio di questo primo tratto di strada, tra tabù abbattuti, volti dimenticati e guerre fratricide ancora da affrontare.
È passato parecchio tempo da quel 4 ottobre 2009, quando, in un teatro Smeraldo di Milano senza neanche più un posto in piedi, Beppe Grillo annuncia la nascita del suo partito. A godersi lo spettacolo dal palchetto d’onore ci sono Adriano Celentano, Claudia Mori e un Luigi de Magistris appena eletto parlamentare europeo con l’Italia dei valori. A scrivere la “sceneggiatura” dello show è Gianroberto Casaleggio. A Palazzo Chigi, da poco più di un anno, siede un Silvio Berlusconi al suo quarto tentativo di governo. Alfano alla Giustizia, Maroni all’Interno, Tremonti all’Economia e Gelmini all’Istruzione.
È in questo contesto che muove i primi passi una nuova creatura politica già testata nelle piazze dei V- Day. Ambiente, Parlamento pulito, beni comuni e rifiuti zero. Sono queste le chiavi del successo che portano Grillo a bruciare le tappe del consenso popolare nel giro di pochissimi anni. Il 4 ottobre, giorno di nascita del santo “poverello” di Assisi, è in se il programma politico più efficace di un movimento fondato sul dogma della semplicità, della massaia scrupolosa perfetta per gestire il Tesoro.
Obiettivo dichiarato: entrare in tutti i Comuni e le Regioni chiamate al voto da lì a poco. In realtà le “Liste Civiche” a 5 stelle sono già una realtà da qualche mese, hanno già eletto il primo consigliere comunale in un capoluogo importante come Bologna: Giovanni Favia, volto vincente del primo grillismo, e primo espulso eccellente della storia pentastellata.
Linea programmatica definita per tutti i Comuni italiani è la “Carta di Firenze”, sottoscritta nel marzo dello stesso anno. Dodici punti - dall’acqua pubblica al verde urbano, passando per i trasporti e le fonti rinnovabili - da adattare a ogni contesto elettorale. È il primo “testo sacro” grillino, lo stesso a cui oggi un manipolo di dissidenti dichiara di volersi ispirare.
Da ieri notte, infatti, è possibile consultare on line una versione aggiornata di quella Carta, un testo a cui i nemici interni di Di Maio hanno fatto un tagliando proprio per mettere in discussione i poteri troppo accentuati del capo politico.
«Siamo attivisti e portavoce che credono nei valori fondativi del MoVimento 5 Stelle e li proteggono con passione», scrivono i ribelli, capitanati dal consigliere regionale del Lazio Davide Barillari. «Siamo in tanti a volere un M5S unito e coerente, senza scissioni o correnti: “cittadini attivi” che guardano al futuro del Mo-Vimento 5 Stelle che hanno contribuito a creare e far crescere».
A incattivire i dissidenti è «l'accordo con il nostro nemico storico, il Partito Democratico», che «si sta estendendo anche nelle Regioni ( Umbria, Emilia e Calabria) e nei Comuni.... con effetti molto preoccupanti e deleteri per noi», scrive su Facebook Barillari, invocando un nuovo «Rinascimento a 5 Stelle», coerente con quello annunciato da Grillo dieci anni fa.
Certo, il 4 ottobre del 2019 i due fondatori non considerano nemmeno la possibilità di correnti e fronde all’interno del M5S, dove uno vale uno ma alla fine decidono in due. Rousseau non è ancora nemmeno un progetto, le discussioni, i contributi e gli scontri si consumano sui meet- up, forum territoriali di confronto politico, facilmente indirizzabili dall’alto ma molto meno addomesticabili.
Eppure, quando qualcuno esce dal seminato basta un “post scriptum” in fondo a un qualsiasi comunicato pubblicato sul post di Grillo per espellere senza troppe cortesie l’eretico di turno. Le contraddizioni non impediscono però al comico genovese di riempire le piazze e le urne. Nel 2012 il Movimento conquista Parma con Federico Pizzarotti ( poi espulso), nel 2014 tocca a Livorno con Filippo Nogarin, prima di piantare la bandiera pentastellata, nel 2016, a Roma e Torino.
Nel frattempo il 25,5 per cento di italiani sceglie il M5S alle Politiche del 2013, dopo aver inondato Piazza San Giovanni per l’ultimo comizio prima del voto, manco fosse il primo maggio. L’evento è così traumatico per gli stessi grillini, da obbligarli a cambiare pelle, decretando gradualmente: l’emarginazione del fondatore, la creazione di strutture verticistiche, le alleanze.
Il resto è storia recente: primo partito alle elezioni dello scorso anno col 32 per cento delle preferenze, e due governi con alleati opposti nel giro di 14 mesi. Mutazioni impensabili che oggi utilizzate dai nemici di Di Maio per chiedere un cambio di passo. Ma quel Movimento non esiste più da tempo e la nostalgia dei dissidenti difficilmente si trasformerà in dissenso organizzato.
Non c’è più Gianroberto a dare la linea. Le svolte vengono vidimate dal figlio, Davide, più manager che visionario. La festa può comunque comiunciare. Appuntamento a Napoli per il 12 e 13 ottobre.