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Nel momento della crisi - di Forza Italia e del Paese - torna in campo lui: Silvio Berlusconi. Ieri all’ora di pranzo ha convocato il suo direttorio di guerra a Palazzo Grazioli, presenti il vicepresidente del partito, Antonio Tajani, lo storico consigliere Gianni Letta e l’avvocato Niccolò Ghedini, oltre alle capigruppo Anna Maria Bernini e Maria Stella Gelmini, e Sestino Giacomoni.
I CONTATTI CON LA LEGA In questi giorni i contatti con il leader della Lega, Matteo Salvini, sono stati continui e ripetuti: certo ci sono state alcune conversazioni telefoniche, rimane invece il giallo sul possibile incontro. In attesa del faccia a faccia, però. a Forza Italia serve una linea: Salvini fissa come condizione per l’alleanza il fatto che Fi confluisca in un listone unitario di centrodestra, offerta rifiutata dopo 24 ore di riflessione da Berlusconi, contrario a perdere il proprio simbolo per sciogliersi elettoralmente nel Carroccio.
Al contrario, le richieste del Cav sono di poter contare su alcuni collegi blindati, ma soprattutto la prova di monogamia dei leghisti a Fi con l’esclusione a priori del governatore traditore ed ex azzurro, Giovanni Toti. La vendetta contro Toti - figlia dello strappo di quest’ultimo proprio quando Berlusconi stava costruendo il rilancio di Fi - apre però a nuove divisioni interne in Fi, esplicitate da un esponente di peso come l’ex capogruppo Paolo Romani, da tempo vicino a Toti, che ha laconicamente detto: «Non penso che Salvini accetterà veti da chicchessia».
Il diretto interessato ha reagito su Facebook, commentando con un «è sempre un piacere avere la conferma della visione di democrazia, rinnovamento e meritocrazia che ha Forza Italia» e continua: «Mentre tutti insieme chiediamo che gli italiani possano tornare ad esprimersi nelle urne, Forza Italia chiede che possano votare sì, ma solo per chi decide lei! Incredibile!!».
FORZA ITALIA DIVISA Se Berlusconi (' lodo Toti' a parte) sembra propenso a sostenere l'ipotesi di ritorno alle urne, se confortato dall'alleanza leghista, i parlamentari azzurri si dividono. Gianfranco Rotondi ha raccontato di aver esposto, proprio durante un incontro a palazzo Grazioli, «il mio punto di vista favorevole a un governo di legislatura per le riforme e contrario a qualsiasi alleanza elettorale con una destra lepenista che è l’opposto della storia del centrodestra berlusconiano».
Maurizio Gasparri, invece, sposa pienamente la linea del ritorno alle urne: «Siamo coerenti: non abbiamo mai votato il governo Conte e abbiamo sempre detto che il rilancio del centrodestra è il nostro faro. Salvini adesso aderisce a questa linea, gli sento pronunciare parole diverse rispetto alla ' corsa solitaria', vuole tornare al centrodestra. Vediamo se questo percorso si compie», ribadendo però come «non parteciperemmo mai a un inguacchio, governicchio, governo di transizione o come lo si voglia chiamare. Mai. Abbiamo già dato».
Le preoccupazioni dello stato maggiore azzurro, però, rimangono: il timore è che si formi un'intesa elettorale tra 5 Stelle e Pd, per un governo finalizzato ad eleggere il futuro capo dello Stato ( addirittura, in Fi si teme che il nome possa essere quello di Beppe Grillo). L’ipotesi del prosieguo della legislatura ( con tenuta a bagno maria della coalizione del centrodestra che tenta di ricomporsi), infatti, rischia di penalizzare proprio i forzisti già in crisi interna e a rischio di nuovi smottamenti.
L’unico dato certo è che l’innesco repentino della crisi abbia restituito a Berlusconi un ruolo centrale: per ora Forza Italia ha in mano un numero di parlamentari superiore a quello di Fratelli d’Italia e, soprattutto, una tessera pregiata nel puzzle complicato dei tempi: la presidente del Senato, Elisabetta Alberti Casellati. Soprattutto quest’ultima giocherà un ruolo fondamentale nei passaggi successivi della crisi, sia sul fronte delle consultazioni che sui tempi d’aula. Una fortuna non da poco che Forza Italia e soprattutto il Cav ( di cui Casellati è sempre stata tra i fedelissimi) sicuramente faranno pesare al ministro dell’Interno, abile nel prevedere le proprie mosse ma non altrettanto nel districarsi tra i meandri formali della democrazia parlamentare.