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Subito o a febbraio? L’alternativa per il commiato di Tito Boeri dalla guida dell’Inps è solo questa. Salvini, che non vede l’ora di piazzare su quella poltrona il leghista Brambilla, vorrebbe procedere sui due piedi. Di Maio è più prudente: «Non possiamo rimuoverlo ora. Quando scadrà il suo mandato terremo conto che non è minimamente in linea col governo». E’ possibile che dietro la richiesta di rinvio alberghi ancora una pallida e residua speranza di recuperare un rapporto con il manager che fino a pochi giorni fa proprio Di Maio voleva difendere dall’arrembaggio del Carroccio ma le parole del vicepremier suonano essenzialmente con un avviso di sfratto.
Boeri intende resistere: non perché speri di conservare il posto ma perché mira a rendere la querelle più fragorosa possibile. Dicono che sia particolarmente avvelenato con il ministro dell’Economia Tria, che si è unito al coro e alla lapidazione anche perché era il solo modo di sottrarsi al durissimo conflitto che minacciava di esplodere tra Di Maio e il Mef dopo la pubblicazione della ' Relazione tecnica' sul decreto Dignità, partorita dall’Inps ma vidimata dalla Ragioneria generale dello Stato, dunque dal Mef, che prevede la perdita di 8mila posti di lavoro all’anno in seguito alle riforme veicolate dal decreto.
«E’ incredibile. Da Tria non me l’aspettavo», avrebbe commentato Boeri manifestando l’intenzione di non dimettersi a meno che a chiederlo non sia il premier: un modo come un altro per coinvolgere Conte e costringerlo ad assumersi la responsabilità del ' licenziamento' in prima persona. Boeri fa notare che se la Ragioneria avesse avuto dubbi su quelle cifre «poteva contestarle chiedendoci approfondimenti come avviene spesso». Ma per il presidente dell’Inps c’è poco da contestare e anzi mettere in dubbio le stime contenute nella Relazione è «al limite del negazionismo economico».
La guerra di cifre è appena cominciata e oltretutto, trattandosi di stime e previsioni, non sarà facile risolverla con certezza. Forza Italia, che non perde una sola occasione per cercare di incunearsi tra Lega e M5S chiede che Boeri riferisca in Parlamento e probabilmente la Corte dei Conti sarà chiamata a esprimersi. Ma il problema non è di carattere tecnico, anche se assume quelle sembianze. E’ decisamente politico.
Boeri ha silurato praticamente l’intera agenda politica del governo gialloverde. La campagna anti- migranti di Salvini? Un suicidio, senza migranti non sarebbe più possibile pagare le pensioni. L’intervento sulla Fornero portando le pensioni a quota cento? Fuori discussione: vorrebbe dire doversi sobbarcare 750mila pensionati in più per un costo tra i 4 e i 14 mld. Il reddito di cittadinanza: un salasso tra i 35 e i 38 mld.
Per il governo quella di Boeri è un’opposizione tra le più scivolose. L’economista non entra mai nel perimetro delle scelte politiche, o almeno non ufficialmente. Sposta sempre la polemica sul piano delle stime, il che rende le sue posizioni difficilmente attaccabili. Però è anche vero che, messe così le cose, per un governo diventa se non impossibile molto difficile mettere in cantiere strategie diverse da quelle sin qui seguite. E’ il filo sottile sul quale il governo cerca un miracoloso equilibrio, quello a cui ha alluso il ministro per gli Affari europei Savona nell’audizione della settimana scorsa di fronte al Parlamento: partire con gli investimenti, procedere senza fretta, sincronizzare gli interventi sulla spesa corrente con i risultati degli investimenti.
Boeri, che del governo non fa parte, può invece limitarsi a bocciare senza l’obbligo di cercare soluzioni tali da rendere compa- le riforme a cui mira il governo e la tenuta dei conti. Ma è difficile credere che la scelta di attaccare a ripetizione su questo fronte non sia stata decisa calcolandone le probabili conseguenze. Di Maio aveva fatto quadrato intorno al presidente dell’Inps soprattutto perché almeno su un punto tra Boeri e i 5S c’è un sostanziale accordo: l’attacco alle cosiddette ' pensioni d’oro'. Il governo si accinge a procedere. Nel mirino dovevano esserci le pensioni superiori ai 5mila euro. Poi l’asticella si è abbassata a 4mila, pena un introito risibile. Secondo Boeri bisognerebbe passare decisamente a sforbiciare le pensioni superiori a 2mila euro.
Il nuovo attacco, stavolta mosso direttamente alla riforma- fiore all’occhiello di Di Maio rende quasi impossibile procedere nella difesa a oltranza. Ma allo stesso tempo fa di Boeri il candidato perfetto per il centrosinistra: liberale di sinistra ma allo stesso tempo attentissimo alle compatibilità, capace di evitare il terreno della politica esplicita per rifugiarsi in quello della competenza tecnica, ideale per un partito come il Pd che ha sempre scommesso sulla politica intesa soprattutto come capacità di amministrare.
Le elezioni non sono dietro l’angolo, anche se probabilmente neppure lontanissime. Il Pd deve fare i conti con una crisi che non ha ancora neppure iniziato ad affrontare. Ma se alla fine il candidato di una ipotetica coalizione di centrosinistra fosse proprio Boeri non sarebbe affatto sorprendente.