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Salvini a colloquio con Meloni
La parola magica è “competitività”. Per non prestare il fianco ai dossier più scottanti e divisivi, il centrodestra presenterà oggi al Senato una risoluzione di appoggio alle comunicazioni della premier Giorgia Meloni sul prossimo Consiglio Ue, che si atterrà strettamente ai punti dell'ordine del giorno con cui Antonio Costa ha convocato i leader dei 27 a Bruxelles per il 20 e il 21 marzo. E in cima a questi, forse per l'impossibilità del Consiglio di stare al passo con le evoluzioni vorticose del quadro internazionale, c'è ancora la questione – importantissima, s'intende – di come rendere l'economia dell'Unione europea capace di fronteggiare le sfide che giungono dalla Cina e dai paesi in via di sviluppo, alle quali si aggiunge quella del presidente Usa Donald Trump sui dazi.
Difficile pensare, però, che l'intervento della premier possa limitarsi a questo, senza uno o più passaggi sulla situazione in Ucraina e le prospettive di pace, anche perché si tratta di un altro dei punti messi nero su bianco da Costa. Fin qui, nessun problema, e nessun equilibrismo da parte dei leader di coalizione, che per tutta la giornata di ieri si sono tenuti in costante contatto telefonico tra di loro e in coordinamento coi capigruppo parlamentari, che parallelamente si incontravano negli uffici di Camera e Senato.
D'altra parte, anche se l'attivismo del presidente Usa Donald Trump (che oggi dovrebbe sublimarsi in una telefonata con Putin) ha cambiato le carte in tavola, dall'inizio del conflitto, in maggioranza, la Lega di Matteo Salvini ha sempre tenuto una posizione notoriamente defilata sul sostegno militare a Kiev, rispetto a quella di Antonio Tajani e della premier, ma questo non si è mai tradotto in voti parlamentari difformi, anche quando questi hanno riguardato l'invio degli armamenti. Ragion per cui, gli “sherpa” di maggioranza non faticheranno a rispolverare le formule già utilizzate in occasioni di questo tipo, verosimilmente aggiungendo riferimenti ai progressi delle ultime settimane dei negoziati, in particolare agli incontri di Gedda e ai contatti diretti tra i leader americano e russo. Capitolo ReArm Europe, vero e unico punto sensibile della risoluzione: assunto che l'ordine del giorno del vertice non lo contempla direttamente, la linea concordata tra la premier e i suoi alleati è abbastanza semplice, anche se presenta delle ambiguità, soprattutto dopo il voto favorevole di FdI a Strasburgo alla mozione von der Leyen della settimana scorsa. Meloni ricorderà di aver chiesto alla presidente della Commissione di cambiare
il nome del Piano in “Defend Europe”, per sottolinearne la vocazione non bellicista ( richiesta alla quale peraltro si è accodato il tentennante Pd di Elly Schlein per evitare una spaccatura che poi si è puntualmente prodotta) e aggiungerà quanto già detto sulla necessità che si tratti di una rafforzamento della sicurezza interna degli stati membri, senza che questo comporti un dirottamento delle risorse previste per i servizi più vicini alle necessità dei cittadini, come ad esempio sanità, infrastrutture e trasporti.
Ciò consentirà a Meloni di non divergere dai paletti chiesti dal Carroccio, anche perché la questione della sicurezza interna le consentirà un ampio passaggio su un argomento che sta a cuore a tutta la maggioranza, vale a dire le politiche di contrasto all'immigrazione illegale, punto tra l'altro ufficialmente all'ordine del giorno. Su questo fronte, è molto probabile che la premier torni a battere sul tasto degli accordi con l'Albania e della polemica con le toghe, sottolineando come tale strumento sia stato accolto con interesse da molti stati europei, ma che sia stato smontato dalla magistratura italiana. Inoltre, la già espressa contrarietà della presidente del Consiglio all'invio di truppe in Ucraina, caldeggiata dal primo ministro inglese Starmer e dal leader francese Macron, pone anche su questo tema la maggioranza al riparo da fratture plateali.
A favore degli equilibrismi della premier gioca anche il fatto che, sul versante dell'opposizione, l'aggressività del M5s sui temi pacifisti è dettata dalla necessità di incalzare un Pd che avrà poco margine di manovra nel criticare Palazzo Chigi sull'atteggiamento assunto a Strasburgo su ReArm Europe, data la difficoltà dei dem ad assumere una linea univoca, e che gli esponenti della Lega hanno già fatto sapere di voler votare solo le risoluzioni a cui il governo darà parere positivo.