A domanda precisa il diretto interessato ha risposto di non voler scendere in campo, ma le modalità con cui Ernesto Ruffini ha annunciato il suo addio all'Agenzia delle Entrate e le parole con cui lo ha motivato trasudano di politica. Se non ci sono dunque prove di un'imminente entrata nell'agone politico come federatore di un centrosinistra orfano dell'ala moderata- centrista, abbondano gli indizi: anzitutto i rumors che già da giorni si susseguivano su questa eventualità, tanto da avviare prematuramente un dibattito sulla figura più adatta a riempire un vuoto politico additato da tutti gli analisti come il vero tallone d'Achille per un'opposizione incapace di offrire un'alternativa all'attuale maggioranza. Poi l'endorsement preventivo già incassato da Ruffini da alcune figure del cattolicesimo, ma soprattutto le dichiarazioni ostili da parte di chi quel settore politico cerca da tempo di presidiarlo o vorrebbe provare a farlo.

Nei giorni scorsi sia Matteo Renzi che Carlo Calenda, autori dell'ormai leggendario tentativo fallito di Terzo Polo, hanno usato toni non proprio amichevoli nei confronti dell'ipotesi Ruffini, chiedendo ( soprattutto da parte del leader di Iv) che lasciasse l'incarico all'Agenzia delle Entrate, prima di rendersi promotore di manifesti politici. «Non puoi essere un manager del governo Meloni», aveva detto Renzi – che tra l'altro è stato in passato il principale sponsor di Ruffini - «e contemporaneamente essere un leader politico dell'alternativa al governo Meloni». Le dimissioni sono arrivate, come detto, accompagnate da molte considerazioni politiche. «È stata fatta», ha detto, «una descrizione caricaturale del ruolo di Direttore dell’Agenzia, come se combattere l’evasione fosse una scelta di parte e addirittura qualcosa di cui vergognarsi. Scendo, ma non in campo. Scendo e basta. Rimango con le mie idee e i miei ideali. E difendo il diritto e la libertà di parlare di bene comune e senso civico. Per me oltre che un diritto è un dovere di tutti».

Il senso della polemica col centrodestra, però, appare chiaro quando cita una frase pronunciata della premier Giorgia Meloni in una delle scorse campagne elettorali. «Non mi era mai capitato», ha aggiunto, «di vedere pubblici funzionari essere additati come estorsori di un pizzo di Stato. Oppure di sentir dire che l’Agenzia delle Entrate tiene in ostaggio le famiglie, come fosse un sequestratore. Ho taciuto sinora, per senso dello

Stato. Attenzione però», ha concluso, «se il fisco in sé è demonizzato, si colpisce il cuore dello Stato». Un democristiano doc come Bruno Tabacci si è già mostrato entusiasta del possibile ruolo di leader del centro del centrosinistra per Ruffini, e nei prossimi giorni ( a partire da oggi) quest'ultimo parteciperà a dei pubblici dibattiti con alcuni partecipanti d'eccezione, tra cui il Padre Nobile dell'Ulivo Romano Prodi.

Si può dire, a questo punto, che sulla corsia di sinistra del centro vi sia un ingorgo, con una pletora di pretendenti tale da ricordare il bivacco omerico dei Proci pronti ad avventarsi sul trono vacante di Itaca. Che comprende, oltre al citato Ruffini e ai gemelli diversi del Terzo Polo, il sindaco di Milano Beppe Sala e l'ex- Capo della polizia Franco Gabrielli. In attesa degli sviluppi, alcuni commenti di esponenti di centrodestra sulle ultime mosse di Ruffini, però, lasciano intuire che l'ipotesi di un federatore o un leader di area che vada a chiedere il voto degli elettori, dopo aver firmato per anni il documento più odiato dagli italiani ( la cartella esattoriale) non appare come il massimo della strategia del consenso e la cosa, al di là delle dichiarazioni ufficiali, è già serpeggiata nei capannelli di Palazzo.

Una simulazione di una possibile campagna elettorale con Ruffini in campo l'ha già data l'onnipresente leader leghista Matteo Salvini: «La lotta all'evasione fiscale», dichiara una nota del Carroccio, «è giusta e non a caso negli ultimi anni sono state recuperate cifre record, ma un conto è contrastare chi non vuole pagare le tasse e un altro è vessare, intimidire e minacciare i contribuenti che hanno rispettato le regole con le oltre tre milioni di lettere inviate sotto Natale. A Ruffini», conclude velenosamente la nota, «auguriamo le migliori fortune, ma ben lontano dai portafogli degli italiani».